Page 31 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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di  maggior  prestigio,  il  più  intelligente  e  il  più  bello.  Ma  non  sapevo  come.  Un

          giorno accadde a Fiesole un episodio affascinante: morì un comunista e la Chiesa gli
          negò  la  sepoltura  in  terra  consacrata  e  con  la  cerimonia  religiosa.  […]  Allora  i
          compagni di quel comunista si vestirono da preti, impararono a memoria le preghiere
          funebri e inscenarono un funerale religioso. Scrissi questa storia, insieme divertente
          e  commovente.  La  mandai  a  Benedetti  che  la  pubblicò  con  un  grande  splendido
          titolo: Anche a Fiesole Dio ha avuto bisogno degli uomini. Incominciò dunque la

          mia  collaborazione  a  «L’Europeo»,  saltuaria;  si  interruppe  solo  quando  venni
          assunta da «Epoca».     34


          Il giorno in cui firmai il mio primo articolo sull’«Europeo», avevo diciannove anni,
          [zio Bruno] mi chiamò da Milano per sgridarmi: «Chi credi d’essere, Hemingway?».
          Poi buttò giù il telefono e mi ignorò fino al momento in cui me lo trovai direttore di

          un altro settimanale [«Epoca», N.d.R.].       35


          Come collaboratrice di «Epoca» lavorai fino al giorno in cui venni licenziata dal
          «Mattino dell’Italia Centrale». Venni licenziata per ragioni politiche. Il giornale era
          democristiano,  io  tutt’altro  che  democristiana.  Ero  socialista  sebbene  non  fossi

          iscritta al partito. (Il solo partito cui fui mai iscritta fu il Partito d’Azione che poi
          morì.) Non ci trovavamo d’accordo su troppi punti. Finì come doveva finire.                36


          Fui  licenziata  in  tronco  per  aver  respinto  il  principio  dell’orrenda  parola
          «pennivendolo».  Eh,  sì.  Mi  avevano  ingiunto  di  scrivere  un  pezzo  bugiardo  su  un
          comizio d’un famoso leader nei riguardi del quale nutrivo profonda antipatia anzi
          avversione.  (Togliatti.)  Pezzo  che  non  dovevo  firmare.  Scandalizzata  dissi  che  le

          bugie io non le scrivevo, e il direttore (un democristiano grasso e borioso) rispose
          che i giornalisti erano pennivendoli tenuti a scrivere le cose per cui venivan pagati.
          «Non  si  sputa  nel  piatto  in  cui  si  mangia.»  Replicai  che  in  quel  piatto  poteva
          mangiarci lui, che prima di diventare una pennivendola sarei morta di fame, e subito
          mi licenziò.



          Non scrivo per soldi. Non ho mai scritto per soldi. Mai!           37
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