Page 26 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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pagamento delle tasse scolastiche. 26
Che primavera di conoscenze […]. Io l’assaporai come cioccolata. 27
Ebbi un esame di maturità particolarmente felice. Lo svolsi un anno […]
particolarmente duro, una vera strage con bocciature. 28
Giunse la primavera e si sparse la voce che, onde rimediare all’eccessiva indulgenza
con cui troppi ignoranti erano stati promossi negli ultimi due anni di guerra e l’anno
seguente, il ministero della Pubblica Istruzione avrebbe ingiunto esami durissimi:
bocciature spietate, massacri. Così mi spaventai e mi gettai sui testi con raddoppiato
furore ignorando domeniche, feste, qualsiasi pausa di riposo. […] Sgobbavo fino
alle due di notte; alle cinque del mattino mi alzavo di nuovo e ricominciavo daccapo.
Iliade, Odissea, Eneide. Inferno, Purgatorio, Paradiso. Spinoza. Bacone, La Sacra
Alleanza, la teoria della relatività, il rapporto tra massa e velocità: mentre il mio
peso, già scarso, scendeva a trentasette chili. Lo sforzo mi provocò un tale
esaurimento nervoso che anche dormendo risolvevo equazioni algebriche o recitavo
a memoria la morte di Ettore. «Os oi men katástipe, fízote, éute nebrói, ídro
apépsiconto pión tacheónto te dípsan…» (o qualcosa del genere). Infine persi la
memoria e, quando mi presentai alla prima prova scritta, il tema d’italiano, non
ricordavo neanche chi fosse Dante Alighieri. I miei piedi erano ghiacci, lo stomaco
contratto mi rimandava in bocca il sapore dello zabaglione che la mamma mi aveva
imposto per «tirarmi su», l’angoscia mi strozzava. Ma poi ci comunicarono il tema:
«Il concetto di patria dalla polis greca a oggi». E fu peggio che dar fuoco alle
polveri delle mie infantili rivolte, delle mie infantili utopie. Il freddo sparì, insieme
al sapore di zabaglione, l’angoscia dileguò. Brandii la stilografica, mi gettai come un
lupo ringhioso sul foglio protocollo, e questo (più o meno) è il riassunto di ciò che
scrissi per otto colonne piene.
Patria, che vuol dire patria. La patria di chi? La patria degli schiavi e dei cittadini che possedevan gli
schiavi? La patria di Meleto o la patria di Socrate messo a morte con le leggi della patria? La patria degli
ateniesi o la patria degli spartani che parlavano la stessa lingua degli ateniesi però si squartavano fra loro
come molti secoli dopo avrebbero fatto i fiorentini e i senesi, i veneziani e i genovesi, i fascisti e gli
antifascisti? È da quando ho imparato a leggere che mi si parla di patria: amor patrio, orgoglio patrio, patria
bandiera. E ancora non ho capito che cosa vuol dire. Anche Mussolini parlava di patria, anche i
repubblichini che nel marzo del ’44 arrestarono mio padre e fracassandolo di botte gli gridavano se-non-
confessi-domattina-ti-fuciliamo-al-Parterre. Anche Hitler. Anche Vittorio Emanuele III e Badoglio. Era
patria la loro o la mia? E per i francesi la patria qual è? Quella di De Gaulle o quella di Pétain? E per i
russi del ’17 qual era? Quella di Lenin o quella dello zar? Io ne ho abbastanza di questa parola in nome
della quale si scanna e si muore. La mia patria è il mondo e non mi riconosco nei costumi e nella lingua e
nei confini dentro cui il caso mi ha fatto nascere. Confini che cambiano a seconda di chi vince e chi perde
come in Istria dove fino a ieri la patria si chiamava Italia sicché bisognava uccidere ed essere uccisi per
l’Italia ma ora si chiama Iugoslavia sicché bisogna uccidere ed essere uccisi per la Iugoslavia. Invece di
darci il tema sul concetto di questa patria che cambia come le stagioni, perché non ci date un tema sul
concetto di libertà. La libertà non cambia a seconda di chi vince e chi perde. E tutti sanno che cosa vuol
dire. Vuol dire dignità, rispetto di sé stessi e degli altri, rifiuto dell’oppressione. Ce l’hanno ricordato le
creature che sono morte in carcere, sotto le torture, nei campi di sterminio, dinanzi ai plotoni di esecuzione