Page 25 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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Una mattina andai a comprare, nella libreria dinanzi al liceo Galilei di Firenze, la
tavola dei logaritmi e sul banco c’era quel libro: Natalia Ginzburg, È stato così. Era
un libro molto piccolo, con un ritratto di Modigliani sulla copertina, e cominciava,
ricordo, con la frase «Gli ho sparato negli occhi». Io avevo i soldi precisi per la
tavola dei logaritmi e anziché quella comprai il libro che subito lessi e per molti
mesi tenni sempre con me. […] È cincischiato come un libro di scuola, pieno di
appunti così: «Ripassare Bergson e il pragmatismo», «Ricordarsi di Erodoto»,
«Farsi prestare la tavola dei logaritmi». Sul risvolto della copertina c’era la sua
fotografia: un volto maschile, doloroso, quasi tagliato nel legno. Mi piaceva, quel
volto, perché non sembrava il volto di una scrittrice ma assomigliava al volto di mia
zia: una brava donna senza civetterie che tiene tanto bene i bambini, si diverte a
lavare per terra, e va matta per il cinematografo… 24
E non che fossi un topino di biblioteca, con gli occhiali e i foruncoli. Al contrario.
Ero gaia, polemica, disubbidiente, civetta. Facevo arrabbiare i professori con la mia
petulanza. […]
Il fatto è che non leggevo e basta. Partecipavo come un chicco d’uva nel tino al
bollire di idee ed ideologie che fermentavano il dopoguerra. Le assemblee del
Partito d’Azione ad esempio. Gli interventi di Piero Calamandrei, Enzo Enriques
Agnoletti, Tristano Codignola, Carlo Furno, Ludovico Ragghianti. Da Roma
venivano a volte Ernesto Rossi, Ferruccio Parri, Leo Valiani, Riccardo Lombardi,
Cianca, Lussu, La Malfa. E le loro parole mi aiutavano a capire i primi scioperi, la
nuova attività di mio padre che gettava le basi del sindacalismo in Toscana fondando
con gli altri la Camera del Lavoro. Andavo ad ascoltare i comizi di Togliatti e di De
Gasperi, ne traevo materia di discussione a scuola. E, forse perché tutto era nuovo
agli occhi della mia innocenza, forse perché la politica e il sindacalismo erano
allora espressione di uomini degni, vi imparavo più che attraverso gli illuministi e le
radici quadrate. 25
Traumatizzata da esperienze inadatte alla mia età, illusa da sogni impossibili, volevo
rifare il mondo e me la prendevo coi professori. Sicché ogni volta che alzavo la
mano per protestare o discutere, quello di filosofia ghignava: «Sentiamo cosa vuole
questa rompiscatole, sennò dice che le mettiamo il bavaglio!». Con due compagni di
classe, Giò Ramat e Piero Ugolini, l’inverno precedente avevo fondato un’Unione
Studenti che non interessava nessuno e tentato di organizzare uno sciopero che
nessuno aveva preso sul serio. Con la complicità di un tipografo de «La Nazione»
avevo perfino stampato un manifesto in cui sostenevo che gli studenti sono lavoratori
del pensiero e quindi devono ricevere uno stipendio. Eppure i professori mi
volevano bene ed amavo la scuola appassionatamente, studiavo con impegno quasi
monacale, e i miei voti erano sempre alti. Avere voti alti mi era necessario, del
resto, a ottenere la media dell’otto. I miei genitori facevano già molti sacrifici per
comprarmi i libri e tenermi in un liceo da ricchi: la media dell’otto li dispensava dal