Page 15 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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luce! Vuoi spenger la luce e dormire?». Ma io non volevo, non potevo spenger la
luce e dormire. Sarebbe stato come togliermi un pezzo di pane dalla bocca, buttar via
un sortilegio che mi avviluppava per trasformarmi. Quando ebbi finito il libro,
infatti, non ero più una bambina che crede a De Amicis e a Salgari e a Verne in un
mondo di bugie affascinanti e pietose. Ero una bambina pronta a trattar con gli adulti
in un mondo di dure realtà. Una bambina cui Buck aveva insegnato che la vita è una
guerra ripetuta ogni giorno, spietata, crudele, una lotta da cui non puoi distrarti un
minuto, neanche mentre dormi, neanche mentre mangi, altrimenti ti rubano il cibo e la
libertà. 6
***
«Mamma, tu l’hai già visto [il mare, N.d.R.], vero?» chiedevo. «Sì.» «Dimmi,
mamma. Com’è da vicino?» «È bello. È molto bello.» «Va bene. E poi?» «Poi
cosa?» Il treno non arrivava mai. Ogni poco fermava in qualche stazione e prima che
ripartisse ci voleva un mucchio di tempo, perché uno aveva da comprare il gelato, un
altro aveva da comprare il giornale, ed io fremevo, ed avrei voluto pigiarlo con le
mani, quel treno. «Mamma, quando arriviamo?» E la mamma: «Noiosa!». Infine
arrivammo ma la stazione non era sul mare e il mare non si vedeva. Se ne udiva
soltanto il rumore, quasi un ruggito, e la mamma per fare più presto chiamò la
carrozza. La carrozza puzzava di fieno e gli zoccoli del cavallo erano martellate
dentro gli orecchi ma il ruggito del mare diventava sempre più grosso, a ogni giro di
ruota superava le martellate, io diventavo impaziente, in quella impazienza
percorremmo una strada, poi un’altra strada, poi un’altra ancora, infine fummo in un
largo viale, e al di là del viale era il mare, il mare ci fu all’improvviso davanti:
come uno schiaffo sugli occhi. Grigio, sterminato, liscio liscio. Un cielo caduto per
terra. […]
Abbassai il capo quando vidi quel cielo per terra. Era così sconcertante che il
cielo fosse caduto per terra. Allora la mamma mi porse una mano e mi disse:
«Scendi, andiamo a vederlo proprio da vicino». Lasciammo la carrozza e ci
avviammo sulla spiaggia, noi due sole, tenendoci per mano. La spiaggia era grande e
deserta perché era ottobre e al mare d’ottobre non ci sta nessuno, diceva la mamma,
fa freddo e nessuno ci viene. La spiaggia io non l’avevo mai vista, neppure quella,
perché non avevo mai visto il mare, così non riuscivo a camminarci e duravo molta
fatica: mi entrava la rena dentro le scarpe e le scarpe pesavano. Allora la mamma mi
tolse le scarpe e proseguii senza scarpe, però senza alzare la testa, senza guardare il
mare, perché il mare mi faceva paura. Invece del mare mi guardavo i piedi che
affondavano sempre di meno dentro la rena, infatti la rena diventava sempre più
umida e dura, diventando più dura cambiava il colore che adesso era grigio, un
grigio sempre più scuro, quando fu un grigio scurissimo la rena tornò quasi molle e i
miei piedi lasciavano piccole pozze di acqua che svanivano subito, in un gorgoglio
senza suoni. […]
D’un tratto però non svanirono più, quelle pozze di acqua, perché avevo i piedi