Page 14 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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Elegante come lei, dannunziana. Le a e le o sono molto tonde e spiaccicate. Sono
sempre stata affascinata dalla calligrafia della zia Gianna. La mia firma è frutto di
quel fascino mai superato. 4
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Dormivo nella Stanza dei Libri. Nome che i miei amati e squattrinati genitori davano
a un salottino stracolmo di libri comprati faticosamente a rate. Sopra lo scaffale del
minuscolo divano da me chiamato il-mio-letto c’era un librone con una dama velata
che mi guardava dalla copertina. Una sera lo ghermii e… La mamma non voleva.
Appena se ne accorse, me lo tolse di mano. «Vergogna! Questa non è roba da
bambini!» Ma poi me lo restituì. «Leggi, leggi. Va bene lo stesso.» Così Le Mille e
una Notte divennero le fiabe della mia fanciullezza e da allora fanno parte del mio
patrimonio libresco. 5
Stava, insieme a molti altri libri dalla copertina rossa, in un mobile con gli sportelli
di vetro. I libri, a quel tempo, erano i miei balocchi. E il mobile con gli sportelli di
vetro era il mio paradiso proibito perché la mamma non mi permetteva di aprirlo.
«Sono i libri del babbo, sono libri da grandi, non da bambini» diceva. La mamma
era convinta che più a lungo un bambino resta bambino, meglio è. Così selezionava
con molto rigore ciò che leggevo, mi consentiva soltanto quel che giudicava innocuo
per l’innocenza di una dodicenne: De Amicis, Salgari, Verne. E, a suo parere, il
mobile con gli sportelli di vetro conteneva pericoli, insidie: Guerra e pace, Delitto
e castigo, Le memorie di Casanova. Quest’ultime addirittura illustrate con disegni
inquietanti. Lo avrei saputo dopo, da grande. Infatti, nella prima fila, quei titoli non
si scorgevan nemmeno. Nella prima fila c’erano esclusivamente i volumi con la
copertina rossa e su quelli, non sugli altri, sognavo. Erano belli perché erano
misteriosi. E perché, quasi sempre, il nome dell’autore era un nome che si
pronunciava come un colpo di tosse, e poi come una linguata: Jack London.
Proprio di fronte al paradiso proibito stava il mio divano-letto, e quel giorno ero
malata. D’un tratto qualcuno aprì lo sportello, disse leggi-questo-qui, e un libro con
la copertina rossa cadde tra le mie mani. Lo afferrai con l’avidità con cui si afferra
un regalo atteso troppo a lungo. Era un libro di Jack London, Il richiamo della
foresta. Lo sfogliai con la delicatezza che si usa quando si tocca un velo. La carta
era dura, pesante, quasi un cartoncino. La seconda pagina informava che il volume
era edito dalla Romantica Editoriale Sonzogno, allo scopo di divulgare in Italia e a
mitissimo prezzo i romanzi di grande successo: costo del presente, lire quattro e
cinquanta. Bevvi piano piano le prime righe ed esse mi offrirono mille promesse.
Mi innamorai subito di Buck. E il colpo di fulmine fu tanto struggente che mi staccai
da Buck solo all’alba, al momento in cui egli mi abbandonò per correre dietro ai lupi
e divenire lupo lui stesso. Dalla camera accanto, la mamma brontolava: «Spengi la