Page 19 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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sorrideva  bonario,  tenendo  le  braccia  sui  fianchi  come  una  lavandaia  sguaiata,  e

          anziché  l’elmetto  portava  un  bel  cappellino  con  una  piuma  bianca  nel  mezzo:
          civettuola,  identica  a  quelle  delle  signore  a  teatro.  E  questo  lo  rendeva  così
          divertente, dunque innocuo, che veniva voglia di invitarlo a giocare per chiedergli a
          cosa servisse la piuma: a misurare il vento, a cacciare le mosche? Il magro invece
          levava un visuccio che non faceva né caldo né freddo, e i suoi baffetti a spazzolino
          sembravan piuttosto un cerotto appiccicato sotto il naso per nascondere un graffio.

          Di conseguenza non suscitava in me lo spavento che di solito provavo dinanzi agli
          adulti coi baffi, dinanzi al mio gelataio per esempio, che li aveva immensi, severi,
          con  le  punte  all’insù,  e  che  quando  esitavo  tra  la  vaniglia  e  la  cioccolata,  il
          pistacchio e lo zabaglione, ruggiva: «Su avanti, che vuoi? Non pretenderai mica di
          tenermi qui fino a sera?». Allora tremavo tutta e sceglievo un gelato a casaccio. Con
          Hitler questo non sarebbe successo. Aveva un’aria troppo gentile, con quel cerotto
          appiccicato sotto il naso per nascondere il graffio. Mi sarebbe piaciuto moltissimo

          averlo  per  gelataio.  Lui  non  m’avrebbe  ruggito,  ne  ero  sicura.  Avrebbe  atteso
          paziente che mi decidessi per la vaniglia o per la cioccolata, per il pistacchio o per
          lo  zabaglione,  e  magari  avrebbe  accettato  di  mischiarmeli  tutti  nello  stesso  cono:
          cortesia che il mio gelataio non mi faceva mai. Infatti non capivo perché la mamma
          sostenesse che era un brav’uomo, un anarchico: gli anarchici sono sempre bravi e
          buoni. Ma soprattutto, in quella piazza dove la folla impazzita invocava Duce-Duce,

          Führer-Führer,  non  capivo  perché  sia  lei  che  mio  padre  ce  l’avessero  tanto  con
          Mussolini e con Hitler, e li accusassero d’ogni delitto o catastrofe, li chiamassero
          mostri,  delinquenti,  assassini.  Non  capivo  nemmeno  perché  la  maestra  ne  fosse
          invaghita, e li trovasse eccezionali, straordinari, unici al mondo, diversi da noi. Che
          ci fosse un equivoco? Che non fossero loro? Mi rivolsi alla zia: «Sono proprio loro,
          zia?». 11



          Tornando a casa strillai tutta contenta: «Mamma! Ho visto Hitler! Ha un’aria proprio
          gentile!».  Ma  la  mamma  mi  fulminò  con  un’occhiata  e  puntando  il  mestolo  disse:
          «Cretina, idiota. Io con la zia Febe non ti ci mando più!».         12
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