Page 121 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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storia. La letteratura invece ti ruba alla vita, perché per scrivere un libro devi essere

          solo e staccato da tutto: ti devi concentrare su quello e basta, con disciplina. Ti devi
          rubare alla vita. E così tutti i libri che volevo scrivere furono assorbiti, fagocitati dal
          giornalismo. E per questo ho verso il giornalismo una specie di rancore. Ho anche
          molta  gratitudine  perché  al  giornalismo  devo  quasi  tutto,  compreso  il  fatto  di  non
          essere più povera, anzi di non esserlo più stata molto presto. Devo al giornalismo
          ciò che sono, ogni esperienza buona o cattiva della mia vita, ogni gioia e ogni dolore

          forse. Però se il giornalismo non mi avesse rubato così a lungo, troppo a lungo, io mi
          sarei  messa  a  «scrivere»  molto  prima.  Ecco  perché  dico  spesso:  «Io  sono  uno
          scrittore rubato dal giornalismo».      1


          Al  giornalismo  devo  molto,  sebbene  non  abbia  pudori  a  dire  che  anche  il
          giornalismo deve molto a me. Il giornalismo mi ha portato nel mondo dello scrivere

          e  mi  ha  fatto  vedere  cose  che  altrimenti  non  avrei  mai  visto.  Sono  e  sono  stata
          testimone diretta della Storia del mio tempo proprio grazie al giornalismo.


          Al giornalismo devo quasi tutti i libri che ho pubblicato fino ad oggi, incominciando
          da  quel  primo  e  debole  tentativo  che  fu Il  sesso  inutile  –  Viaggio  intorno  alla

          donna. Non avrei mai scritto Se il Sole muore se pei giornali non avessi seguito il
          viaggio alla Luna. Non avrei mai scritto Niente e così sia se per i giornali non fossi
          stata alla guerra e non mi fossi presa tre pallottole in corpo. Non avrei mai scritto
          Intervista con la Storia se pei giornali non avessi intervistato tanti celebri e potenti
          farabutti. […] A pensarci bene, al giornalismo devo perfino Un uomo. Perché non
          avrei scritto quel romanzo se un giorno d’agosto del 1973 il mio giornale non mi
          avesse  mandato  ad  Atene  con  l’incarico  di  intervistare  Panagulis.  E,  per  quanto
          paradossale  possa  sembrare,  anche Lettera  a  un  bambino  mai  nato  lo  devo  al

          giornalismo. Il mio direttore mi chiese un inserto speciale sull’aborto e per farlo mi
          dette quattro mesi di libertà. Io mi presi i quattro mesi di libertà e invece dell’inserto
          speciale sull’aborto scrissi quel breve libro sul dilemma di nascere o non nascere,
          esistere o non esistere.



          Mi sono allontanata dal giornalismo. Non l’ho abbandonato, me ne sono allontanata.
          […] Perché a un certo punto il giornalismo non mi è bastato più. E non mi è bastato
          più perché il giornalismo muore il giorno dopo, o una settimana dopo, o un mese
          dopo.  Non  dura.  Neanche  se  è  buono,  neanche  se  l’Enciclopedia  Britannica  ti  fa
          l’onore  di  chiamarti  e  dire:  «Ms.Fallaci-could-we-reprint-your-article-in-our-
          Annals?».  E  non  dura  perché  dà  una  verità  immediata,  quindi  ridotta  e
          particolarizzata: la verità della cronaca quotidiana, la verità legata a fatti e persone e

          luoghi  specifici.  Inoltre,  o  proprio  per  questo,  il  giornalismo  mi  costringeva  a
          scrivere con le manette ai polsi: attenta all’esattezza più scrupolosa, alla precisione
          più esasperata. E non mi dava tempo: il tempo di scrivere bene, cercando la metrica
          e  la  musicalità  della  lingua.  Quando  in  tipografia  aspettano  il  tuo  articolo  e  il
          direttore  ti  pungola  presto-Fallaci-presto,  tu  non  hai  tempo  di  gingillarti  con  la
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