Page 120 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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Uno scrittore rubato dal giornalismo
Io più che il giornalista ho sempre pensato di fare lo scrittore. Quando ero bambina,
a cinque o sei anni, per me non concepivo nemmeno un mestiere che non fosse il
mestiere di scrittore. Io mi sono sempre sentita scrittore, ho sempre saputo di essere
uno scrittore, e quell’impulso è sempre stato avversato in me dal problema dei soldi,
da un discorso che sentivo fare a casa: «Eh! Scrittore, scrittore! Lo sai quanti libri
deve vendere uno scrittore per guadagnarsi da vivere? E lo sai quanto tempo ci vuole
a uno scrittore per essere conosciuto e arrivare a vendere un libro?». Mia madre mi
parlava sempre di Jack London che voleva fare lo scrittore ma doveva «lavorare»,
fare il cameriere, andare a cercare l’oro in Alaska, e un giorno mi buttò davanti
Martin Eden e mi disse: «Leggi, leggi! Guarda quanto ci vuole a diventare scrittore,
che fatica, che pena!». Lessi Martin Eden e mi spaventai: davvero era così difficile
diventare scrittore? E poi mi dicevano che Tolstoj aveva potuto fare lo scrittore
perché era ricco, era un principe, tra una pagina e l’altra andava a cavallo nei suoi
boschi e beveva lo champagne che i suoi servi gli tenevano in ghiaccio nella neve.
Quanto a Dostoevskij, si guadagnava da vivere giocando al casinò, e Proust aveva
tanti soldi quante case. Queste cose me le diceva anche lo zio Bruno, il fratello
maggiore di mio padre, che faceva il giornalista. E lui aggiungeva: «Prima bisogna
vivere, e poi scrivere! Cosa vuoi scrivere ora se non conosci la vita?». Sicché tutti
insieme finirono con lo scoraggiarmi; col mettermi in testa che fare lo scrittore era
una cosa da ricchi, e da vecchi. Dunque io non potevo farlo perché ero povera e
giovane. Così mi convinsi che per fare lo scrittore avrei dovuto aspettare di avere i
soldi e l’età. E questa idea mi ha accompagnato e avvelenato per tutta la vita e mi ha
fatto perdere anni preziosi. Decine d’anni. E per questa idea cominciai a pensare di
fare il giornalista. Il giornalismo era un compromesso, perché lo si poteva fare anche
da giovani e da poveri. E oltre a un compromesso, un avvio, un mezzo per arrivare
alla letteratura. Così incominciai a pensare di fare il giornalista, e per questo: per
scrivere.
Poi mi trovai nel giornalismo, e imparai ad amarlo. Me ne innamorai addirittura
perché c’è un lato avventuroso del giornalismo che non c’è naturalmente nel lavoro
di scrittore. E io sono una donna avventurosa, non resisto mai alla tentazione
dell’avventura. L’avventura è il rischio, è il mistero: le due componenti più
affascinanti della vita. Il giornalismo ti butta a capofitto nella vita, e ti butta nella