Page 117 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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non potevo. Potevo inventare – creare – solo nella costruzione. E nei particolari.
Potevo inventare nel senso che potevo scegliere nel magma di materiale che avevo,
ed elaborarlo a mio modo. E questo ho fatto. 39
A un certo punto la formula che avevo scelto per amore divenne una sfida. Perché
era difficile e quindi mi affascinava, suppongo. Costruire un vero romanzo usando la
realtà accaduta: che impresa! Credevo addirittura di inventare qualcosa. Ma poi,
parlando col mio editore americano, scoprii che non avevo inventato un bel nulla:
ero rientrata in un filone ben preciso della letteratura. Fu quando mi disse, tutto
contento: «How marvellous! You have written a faction novel!». E io: «Ho scritto
cosa?». «A faction novel, un romanzo basato sui fatti, the facts!» Poi mi spiegò che
c’è il fiction novel, il romanzo inventato, il non-fiction novel, il romanzo non
inventato, lui preferiva proprio il faction novel, il romanzo di fatti avvenuti… 40
Sicché non chiedetemi se nel libro c’è tutto. No, non c’è tutto. […] Non chiedetemi
nemmeno se quella certa frase tra virgolette fu davvero detta o se fu detta a quel
modo. Non lo so, non ricordo! Non vivevamo mica con un registratore in mano! Io
non sono mica Nixon che registra le conversazioni telefoniche per ricattare la gente!
E non ho la memoria di Pascal o di Pico della Mirandola. Però posso dirvi che
quella frase è vera, più vera di quella che mi disse o non mi disse quel giorno. 41
È un libro difficile perché mi ossessiona la forma, il ritmo, la musicalità della
lingua. 42
Non sopporto chi scrive sloppy, cialtronescamente, senza curarsi delle ripetizioni,
delle assonanze, dell’armonia anche fonetica che deve avere una frase, una pagina. E
quando mi accorgo di averlo fatto ricomincio da capo e correggo, correggo… […]
La fatica più snervante non è stata la costruzione della storia, che il mio editore
letterario chiama «la costruzione della cattedrale». Non fa che ripeterlo: «Hai
costruito una bella, solida cattedrale». Ma la cattedrale, se di cattedrale si tratta, mi
è venuta così facile, così spontanea. L’incubo, ripeto, è stato un altro: la ricerca del
ritmo, la musicalità della parola… 43
Questa ricerca ossessiva del ritmo, della musicalità della frase e della pagina c’è già
in Lettera a un bambino mai nato ma in questo libro è portata agli estremi. Forse
all’eccesso. Il fatto è che il contenuto non prescinde dalla forma, e in un libro
contenuto e forma sono la stessa cosa, e appena capisci questo capisci perché
scrivere un libro è una fatica drammatica, straziante. 44
Nessun libro mi ha consumato, divorato, rubato alla vita quanto questo libro. È
durata tre anni la scrittura di questo libro. La gravidanza di un elefante. Per tre anni
sono rimasta chiusa in una stanza, dalle otto di mattina alle otto di sera, senza vedere
il cielo, senza vedere il sole, ogni giorno, comprese le domeniche e i Natali e le