Page 365 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
P. 365
testimoni. Cinquemila, dicono altri.) C’era di tutto, in quel convoglio.
Autocisterne piene di benzina, carri armati T72, autoblindo, cannoni da
130 e da 150, camion con rimorchio e senza rimorchio, jeep con le
mitragliatrici da 12.7, gipponi coi cannoncini della contraerea,
motociclette, automobili rubate, e ciò che era rimasto da saccheggiare agli
abitanti della città. C’erano anche parecchi militari. Facendo una media
minima di quattro militari a veicolo e accettando la cifra di tremila
veicoli, non meno di dodicimila. Facendo una media più realistica cioè di
sei militari a veicolo e accettando la stessa cifra, non meno di
diciottomila. Accettando la cifra di cinquemila veicoli e basandoci sulle
medesime medie, dai ventimila ai trentamila. In ogni caso tanti, da
ammazzare in un colpo solo. Tanti…
Il convoglio si mise in moto verso mezzanotte e imboccò la Jaharah
Road cioè l’unica strada che dal Kuwait porti a Bagdad. Ma non arrivò
mai a Bagdad. Non arrivò neanche alla frontiera. Verso l’una del mattino
gli americani lo individuarono grazie alla 27th Armoured Division che si
trovava a qualche miglio di distanza, chiamarono gli F15 e gli F16 e gli
F18 e gli F111 e gli Apaches e i Cobra, e lo fermarono anzi lo distrussero
con l’attacco più feroce che un esercito in ritirata abbia subito dai tempi
di Napoleone. Più che un’azione di guerra, una strage da Apocalisse. «This
is not a battle- eld» si nota che abbia commentato con amarezza un
u ciale inglese. «This is a killing- eld. Questo non è un campo di
battaglia. È un mattatoio.» A destra e a sinistra della Jaharah Road si
stende infatti il deserto, e non un deserto piatto nel quale puoi gettarti in
cerca di salvezza: un deserto reso impraticabile dagli avvallamenti, dalle
dune. Per sfuggire all’orgia di fuoco che pioveva dal cielo gli autisti dei
veicoli si buttarono tra quelle dune, in quegli avvallamenti, travolti dal
panico presero disperatamente a girarvi formando spirali dentro cui si
imbottigliavano per scontrarsi o capovolgersi, e neanche uno si salvò.
Neanche uno. Tre giorni dopo, quando spinta dalle voci d’un supposto
massacro mi portai sulla Jaharah Road, rimasi così annichilita dall’orrore
e dallo stupore che non credevo ai miei occhi. Per chilometri e chilometri
non vedevi che quelle spirali di ferro contorto e annerito, carri armati e
cannoni rovesciati, autocisterne e autoblindo e automobili bruciate,
camion e rimorchi e gipponi accatastati l’uno sull’altro, a volte in
piramidi alte cinque o sei metri, a volte in mucchi a ogati dentro i
crateri, e intorno a questo un caos di oggetti saccheggiati. Coperte di
lana, lenzuoli, pezze di seta, paralumi, camicie da uomo, scarpe da
donna, (molte coi tacchi a spillo), vestiti da bambini, giocattoli, scatole di
cipria, televisori, grattuge, posate d’oro e d’argento, smalto rosso da
unghie, video, bottiglie di profumo, mazzi di cipolle, bulbi da piantare,