Page 370 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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Teheran  e  che  il  giorno  dopo  erano  diventati  tremila.  Il  giorno  dopo
          ancora, trentamila. La settimana seguente, trecentomila. E quando andai

          in  Iran  per  intervistare  Khomeini,  tre  milioni.)  So  che  coloro  cui  piace
          moltiplicare uno per cento e cento per mille si sono scandalizzati perché
          ho  scritto  di  non  aver  trovato  le  prove  di  certe  atrocità  inclusa  quella
          raggelante  dei  neonati  strappati  alle  incubatrici  e  buttati  via  nella
          spazzatura.  So  che  si  sono  irritati  perché  ho  avanzato  il  dubbio  che  la

          Resistenza kuwaitiana fosse stata una cosa seria anzi che fosse esistita, o
          perché  mi  sono  sorpresa  a  trovare  migliaia  di  kuwaitiani  che  non
          parlavano inglese ma in perfetto inglese inneggiavano a Bush con slogan

          non certo inventati da loro, e perché mi sono arrabbiata a veder sparare
          in aria le tonnellate di pallottole che la Resistenza non aveva sparato agli
          iracheni. So che qualche sciocco in malafede mi ha addirittura accusato di
          negare che vi fossero state torture e assassinii.
             Forse  quella  corrispondenza  avrebbe  dovuto  contenere  una  battuta

          inglese a me cara:
             «One is too many. Uno è troppo». Avrebbe dovuto spiegare, cioè, che
          per  me  un  morto  è  troppo:  che  per  pianger  quel  morto  non  mi  serve

          moltiplicarlo  per  cento  o  per  mille  o  per  centomila,  e  che  se  lo  vedo
          moltiplicare per cento o per mille o per centomila mi indigno: la morte
          non  è  una  partita  di  calcio  dove  contano  i  gol.  Forse  quella
          corrispondenza avrebbe dovuto essere più lunga nella lista dei sospetti e
          dei  dubbi  e  delle  esagerazioni:  particolareggiata  come  quelle  di  Con

          Coughlin e Michael Evans che l’uno sul «Sunday Telegraph» e l’altro sul
          «Sunday Times»hanno avanzato i miei stessi sospetti e miei stessi dubbi,
          cercato  di  ridimensionare  le  esagerazioni  raccolte  e  di use  dai  loro

          colleghi. Forse avrei dovuto ricordare che di Resistenza io me ne intendo
          (ci sono nata dentro) e che nei Paesi in cui l’ho trovata l’ho cantata con le
          lacrime  agli  occhi.  Forse  avrei  dovuto  riportare  la  risposta  che  lo
          stimatissimo  e  vecchio  generale  Muhammed  Albade,  capo  d’un  piccolo
          gruppo formato da sessanta resistenti, mi dette a Kuwait City quando gli

          chiesi se la Resistenza ci fosse stata davvero. «Well, the  rst month there
          was  something.  The  second  month,  much  less.  The  third  month,  much
          much less. The fourth month and after, let’s say that it was psycological.

          Bè il primo mese ci fu qualcosa. Il secondo, molto meno, il terzo, molto
          molto  meno,  il  quarto  e  dopo,  diciamo  che  fu  psicologica.»  Forse  avrei
          dovuto riferire anche la risposta che ricevevo ogni volta che cercavo un
          resistente:  «Mia  madre  che  ha  ottant’anni  era  una  resistente,  mio   glio
          che ha due anni era un resistente. Tutti eravamo resistenti». Forse avrei

          dovuto  raccontare  che  «un  famoso»  resistente  a  un  certo  punto  si
          impappinò  e  mi  confessò  che  andava  a  cena  con  gli  u ciali  iracheni,
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