Page 31 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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libera uscita: però nemmeno allora poteva vestirsi in borghese. La sua
voce era un so o e i suoi occhi avevano un’espressione spaventata e
infelice sotto il cappellone con la visiera. Si tormentava le unghie quasi
avesse dovuto passare agli esami. Non capivo cosa l’avesse indotta a
lasciare Kars che mi descrivono una splendida terra piena di verde e di
rose per venire a chiudersi in una caserma di Ankara, ma a questa
domanda rispose, più tardi, sua eccellenza Adilé Aylà aggiustandosi il
cappellino comprato durante l’ultimo viaggio a Parigi. «Nella carriera
militare non c’è distinzione tra uomini e donne e quello è il suo modo per
sentirsi qualcuno, anzi alla pari con gli uomini. La disciplina? Macché:
non è certo un sacri cio per lei. Le donne mussulmane sono talmente
abituate a obbedire. Ed è meglio ubbidire a un generale piuttosto che
ubbidire a un marito. Non trova?»
Sua eccellenza Adilé Aylà era circondata da segretari e stava per recarsi
in Olanda.
Questo l’avrebbe costretta a dividersi per qualche tempo dai gli e dal
marito che ha il suo impiego ad Ankara ma non le dispiaceva moltissimo,
perché avrebbe dovuto dispiacerle moltissimo? Era una signora come se
ne vedono tante a Milano, a Londra o a Berlino, e faceva un poco paura
malgrado i suoi sorrisi gentili: come fanno paura le donne che, quando
sono potenti, lo sono sempre di più di un uomo potente. Certo nessuno
avrebbe indovinato, ascoltandola, che apparteneva allo stesso paese
dove, appena cinquant’anni fa, il sultano Abdul Amid II sparava tre colpi
nello stomaco di una odalisca circassa colpevole d’aver domandato come
funziona una pistola. A quel tempo, una donna turca che tentasse di
denunciare un abuso era ritenuta peccatrice e nessuna donna aveva il
diritto di testimoniare in un tribunale o nel corso di un qualsiasi processo
legale. Ora, invece, Lunik mi presentava orgogliosa a suo onore Rayet
Arkum, presidente del tribunale di Cassazione, e a suo onore Muazzez
Tümer, giudice supremo del tribunale civile di Ankara.
Graziosamente seduta in un club dove si suonano i dischi di Sinatra, la
signora Tümer mi raccontava di quand’era giudice penale e le capitò di
condannare a morte tre uomini per assassinio. «Le sarà dispiaciuto»
esclamai. «No,» disse «perché?» «E cosa fece dopo aver letto quella
sentenza?» «Spezzai la penna con cui avevo scritto la sentenza» rispose.
«Capisco» dissi. «Doveva essere molto turbata da una simile
responsabilità.» «Ma no» disse. «Perché? Spezzai la penna perché si usa
così.» È una signora assai dolce, la signora Tümer: il fatto di portare la
toga non l’ha davvero indurita. La sera, quando torna a casa, prepara la
cena per le glie e il marito, che è sostituto procuratore generale della
Repubblica, e si vanta d’essere una cuoca eccellente. Ricama benissimo