Page 36 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
P. 36

Le donne hanno perso la morale




             Un  pagliaccio  simpatico,  allegro,  e  innocuo.  Chi  non  ricorda  con
          indulgenza le sue sbru onate, le sue bugie, i suoi paradossi iniziati alle

          Olimpiadi  di  Roma  quando  mise  in  ginocchio  ben  quattro  avversari,  un
          belga un russo un australiano un polacco, e la medaglia d’oro non se la
          toglieva neanche per andare a letto, imparò per questo a dormire senza
          scomporsi, Dio me l’ha data e guai a chi la tocca. Nei ristoranti, nei night-

          club,  entrava  avvolto  in  una  cappa  di  ermellino,  in  pugno  uno  scettro:
          salutate  il  re,  io  sono  il  re.  Per  le  strade  girava  guidando  un  autobus
          coperto  di  scritte  inneggianti  alla  sua  bellezza,  la  sua  bravura,  o  una
          Cadillac  color  rosa  salmone,  i  cuscini  foderati  in  leopardo.  Sul  ring

          combatteva gridando osservate come mi muovo, che eleganza, che grazia,
          e  se  lo   schiavano  rideva  narrando  che  il  primo  pugno  lo  aveva  tirato
          alla  mamma  a  soli  quattro  mesi,  sicché  la  poveretta  cadde  knock  out
          mentre  i  denti  schizzavano  via  come  perle  di  una  collana.  Un’altra

          menzogna,  s’intende,  dovuta  al  suo  primitivo  senso  dell’humour;  non
          avrebbe fatto torto a una mosca. Da quell’humour e dalla sua vanagloria
           orivano poesie divertenti: «La mia storia è quella di un uomo / nocche di
          ferro, di bronzo la pelle / Parla e si gloria d’avere / il pugno possente,

          ribelle / Son bello, son bello, son bello / il più grande di tutti, io / nel
          duello».  La  boxe  aveva  trovato  con  lui  un  nuovo  astro,  un  personaggio
          quasi degno di Rocky Marciano, Joe Luis, Sugar Robinson. Era il simbolo
          di un’America fanfarona e felice, volgare e coraggiosa, priva di gusto ma

          piena di energia. Si chiamava, a quel tempo, Cassius Marcellus Clay.
             Ora si chiama Mohammed Alì ed è il simbolo di tutto ciò che bisogna
          ri utare,  spezzare:  l’odio,  l’arroganza,  il  fanatismo  che  non  conosce
          barriere geografiche, né differenza di lingue, né colore della pelle.

             I Mussulmani neri, Neri, una delle sette più pericolose d’America, Ku-
          Klux-Klan  alla  rovescia,  assassini  di  Malcom  X,  lo  hanno  catechizzato
          ipnotizzato piegato. E del pagliaccio innocuo non resta che un vanitoso
          irritante, un fanatico cupo ed ottuso che predica la segregazione razziale,

          maltratta i bianchi che stanno coi negri, minaccia i negri che stanno coi
          bianchi, pretende che un’area degli Stati Uniti gli sia consegnata in nome
          di  Allah.  Magari  per  diventarne  capo:  il  sogno  che  quei  mascalzoni  gli
          hanno  messo  in  testa  appro ttando  del  fatto  che  non  capisce  nulla,  sa

          menar pugni e basta.
             Bisognava vederlo, mi dicono, quando a Chicago partecipò al raduno di
          cinquemila  Mussulmani  neri  e,  il  pugno  alzato,  gli  occhietti  iniettati  di
          sangue, malediceva Lincoln, Washington, Jefferson, altri bravissimi morti,
   31   32   33   34   35   36   37   38   39   40   41