Page 37 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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strillava:  «Entro  il  1960  tutti  i  neri  d’America  saranno  con  noi,  pregate
          per  l’anima  e  il  corpo  dei  nostri  nemici,  chi  non  è  con  noi  è  nostro

          nemico».  Bisognava  vederlo,  mi  dicono,  anche  in  occasioni  meno
          drammatiche: a quel pranzo ad esempio che Robinson o rì da Leoni’s, a
          New York, per celebrare l’addio al pugilato. C’era il sindaco Lindsay fra
          gli invitati, e un fotografo ebbe l’idea di ritrarlo con Cassius-Mohammed.
          Cassius-Mohammed si alzò minaccioso, andò verso Lindsay e: «Spero che

          tu comprenda l’onore» gli disse.
             «Certo»  sorrise  Lindsay.  «Non  scherzo,  ti  faccio  davvero  un  onore»
          insisté Cassius-Mohammed. «Certo.» Sorrise Lindsay. «E allora ringraziami

          per questo onore.»
             I Mussulmani neri, che hanno bisogno di un martire nella stessa misura
          in cui cercano pubblicità, lo istigano continuamente al litigio e sarebbero
          molto contenti di vederlo in prigione. Dove prima o poi  nirà se si ostina
          a non fare il soldato con la scusa che lui appartiene ad Allah, non agli

          Stati Uniti. E questa sarebbe la patetica  ne di un uomo che l’ignoranza e
          la facile fama distrussero mentre cercava di diventare un uomo. Ciò che
          segue  è  la  cronaca  bulla  ed  amara  di  due  giorni  trascorsi  a  Miami

          nell’ombra di Cassius Clay, alias Mohammed Alì, campione mondiale dei
          pesi  massimi,  eroe  sbagliato  dei  nostri  tempi  sbagliati.  Con  l’aiuto  del
          magnetofono e del taccuino ve la do così come avvenne. Era la vigilia del
          suo incontro con l’inglese Henry Cooper.
             La palestra dove si allena il pugile oggi più famoso del mondo è situata

          a  Miami  Beach,  non  lontano  dal  mare,  sopra  un  negozio  per  pulire  le
          scarpe. Il pubblico è ammesso per mezzo dollaro quando lui non c’è, un
          dollaro quando lui c’è. Lui c’è di solito all’una: seguito da una scorta di

          Mussulmani  neri  come  un  torero  dalla  sua  quadrilla.  Prima  d’essere
          rinnegato per le sue idee non su cientemente estremiste, lo seguiva ogni
          tanto  anche  Malcom  X  che  nell’estate  del  1963  gli  donò  il  suo  bastone
          d’avorio nero. Fu il giorno che il manager Angelo Dundee si avvicinò a
          Malcom  X  e,  senza  riconoscerlo,  gli  bisbigliò  in  un  orecchio:  «Bravo,  il

          nostro campione. Peccato che si sia messo con quei…». Poi lo riconobbe e
          per poco non svenne. Angelo Dundee è l’unico bianco della compagnia ed
          è  oriundo  italiano.  Suo  padre  si  chiamava  Angelo  Miranda  e  sua  made

          Filomena Iannelli, entrambi calabresi. Ha fama di essere l’allenatore più
          furbo e più bravo d’America e di saper stagnare in cinquanta secondi il
          sangue di una ferita.
             Gli  inglesi  sostengono  che  Clay  non  perse  il  suo  primo  incontro  con
          Cooper perché quando Cooper colpì Clay alla testa, stordendolo, Dundee

          rubò minuti preziosi con una polemica sopra i guantoni e così Clay fece in
          tempo  a  riaversi.  Dundee  è  sui  quarant’anni,  piccolo  e  magro,  e  i  suoi
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