Page 251 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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Hussein di Giordania




             È quasi una crudeltà intervistare oggi re Hussein. Perché è come andare
          da  uno  che  giace  dolorante,  umiliato,  e  tormentarlo  chiedendo:  «Ma

          quante ne hai prese? Non hai saputo difenderti? Non ci hai provato? Sei
          ridotto male, eh, poverino! E ora che farai?». La sua scon tta, per quanto
          lui la neghi, è totale. Privandolo d’ogni diritto a negoziare con Israele e
          dichiarando l’OLP unico rappresentante dei palestinesi, gli Stati arabi non

          gli  hanno  solo  preferito  Arafat:  gli  hanno  tolto  una  parte  del  regno,  la
          Cisgiordania.  In  fondo  ciò  che  accadrebbe  se  la  Comunità  europea  si
          riunisse dopo un’invasione della Lombardia e dicesse all’Italia: «La Valle
          Padana non ti appartiene più. Tocca ai lombardi che ci fonderanno uno

          Stato indipendente e a tale scopo saranno loro a negoziare col nemico».
          La cosa più straordinaria però è che nessuno a Rabat, neanche per caso,
          neanche  per   nta,  abbia  alzato  un  dito  per  sussurrare:  «Un  momento,
          ragioniamoci  sopra.  Questi  palestinesi  hanno  i  loro  diritti  e  ignorarli  è

          pazzia.  Ma  perché  il  solo  a  rimetterci  dev’essere  Hussein?  Non  è  della
          regione  anche  lui?  Non  ci  ha  già  rimesso  abbastanza?».  Chi  potrebbe
          negare che Hussein sia l’arabo meno amato dagli arabi e il perenne capro
          espiatorio  di  una  situazione  per  cui  ha  meno  colpa  di  tutti?  Ciò  non  lo

          rende santo. Che non fosse santo, del resto, lo si capì nel settembre del
          1970  quando,  sia  pure  mosso  da  motivi  legittimi,  scagliò  i  suoi  beduini
          contro  i   dayn  e  combinò  un  massacro  che  riempì  il  mondo  civile  di
          indignazione.  Però,  a  un  cervello  libero,  il  fatto  d’essere  sempre

          perseguitato  lo  rende  quasi  simpatico  e  mentirei  se  a ermassi  che  mi
          divertii a intervistarlo. Al contrario, mi dette un gran disagio.
             Turbava,  ecco,  dovergli  porre  certe  domande:  vederlo  sussultare  ogni
          volta  come  sotto  una  coltellata.  Dispiaceva  per no  vederlo  cercare  un

          contegno nelle sigarette, nove in un’ora e mezzo, poi accorgersi di quanto
          fosse  invecchiato.  Ba   e  capelli  ormai  abbondantemente  spruzzati  di
          grigio, fronte e guance solcate di rughe, occhi gon , corpo appesantito:
          poco in lui ricorda il giovanottino timido ma vivace che incontrai quattro

          anni  fa,  quand’era  sposato  all’ex-dattilografa  inglese  Toni  Gardiner,
          ribattezzata Muna, ora ripudiata per una palestinese che non gli è servita
          a  nulla.  Ecco  l’intervista  che  avvenne  come  allora  ad  Amman,  nel  suo
          u cio  a  palazzo  reale,  senza  cerimonie  né  protocolli,  alla  buona  e  in

          inglese.  In  alcuni  punti  va  letta  ricordando  che  la  sincerità  non  è  una
          virtù  dei  capi  di  Stato,  tantomeno  dei  re,  e  che  il  registratore  spaventa
          Hussein  no a paralizzarlo in reticenze esagerate. Le note che ho posto
          dopo certe dichiarazioni vogliono appunto colmar le lacune e chiarire ciò
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