Page 177 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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Vedi,  io  sono  un  ragazzo  semplice:  non  odio  nessuno  e  nemmeno  gli
          arabi.  Nella  guerra  del  ’67  mi  dispiaceva  quando  li  vedevo  feriti,  o

          prigionieri: mi facevano pena e mi veniva la voglia di aiutarli sebbene un
          attimo prima gli avessi sparato. Però questa storia mi ha cambiato dentro,
          non  so.  E  vorrei  vederli  tutti  morti,  quegli  arabi  che  ci  hanno  preso  in
          modo  così  vigliacco.  Non  mi  basta  che  solo  cinque  di  loro  siano  morti,
          vorrei  veder  morti  anche  i  tre  che  sono  rimasti  vivi.  L’ho  detto  subito,

          appena sono rientrato nella stanza numero Tre, a raccogliere i vestiti di
          Berger e di Slavine e di Hal n e di Romano e di Friedman. Era piena di
          sangue quella stanza. Sangue per terra, sangue sui letti, ovunque. No, non

          mi è venuto da piangere. Ho sentito solo quella rabbia, quel bisogno di
          saperli  tutti  morti.  Io  ho  pianto  solo  quando  li  ho  visti  andare
          all’elicottero, i miei compagni. Ho pianto a vedere Berger e Slavine con le
          mani legate.
             Volevo  bene  a  Berger  perché  era  un  vero  signore  e  mi  consolava

          quando me ne stavo lì avvilito per la scon tta. Sai, nella gara di lotta ho
          perso.  E  perdere  fa  male,  ti  dà  come  una  vergogna,  ma  Berger  mi
          consolava  dicendo:  «Ho  perso  anch’io!  Ho  perso  anch’io!».  E  poi  volevo

          bene  a  Slavine  perché  era  così  simpatico  e  così   ero  di  rappresentare
          Israele alle Olimpiadi. E poi volevo bene a Romano. Sono stato a trovare
          le bambine di Romano, e sua moglie e sua madre. Anzi sua madre mi ha
          detto  che  quando  Romano  è  partito  appariva  nervoso.  Aveva  ascoltato
          una  frase  pronunciata  da  Radio  Cairo:  «Il  capodanno  ebraico  sarà  un

          capodanno  di  sangue».  E  poi…  Poi  ho  pianto  quando  c’è  stata  la
          cerimonia funebre allo stadio olimpico e il signor Lalkin ha tenuto quel
          discorso  e  l’orchestra  ha  suonato  lo  Hatikwah,  che  è  il  nostro  inno

          nazionale.  E  poi…  Poi  ho  pianto  quando  sono  tornato  a  Tel  Aviv  e  ho
          incontrato  i  miei  genitori  all’aeroporto.  Ora  non  piango  più.  Sono  solo
          meravigliato  d’essere  vivo  e  in  questa  meraviglia  non  mangio,  non
          dormo.  Stamani  sono  stato  al  tempio.  Non  andavo  al  tempio  da  tanti
          anni,  da  quando  ero  bambino.  Non  sono  un  tipo  che  prega  molto.  Ma

          all’improvviso mi son messo il berretto in testa e ho recitato l’Hagomel. È
          la preghiera con cui si ringrazia il Signore per lo scampato pericolo. Credi
          che sia egoista?
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