Page 175 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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E ci hanno portato fuori. Ora mi spiego. Quella che noi chiamiamo la
stanza numero Tre è a due piani. Come le altre, del resto. Il piano con la
camera dove si dormiva io e Berger e con la camera dove dormivano
Hal n e Slavine, poi il piano con la camera dove dormivano Friedman e
Romano. E questo piano ha una porta che attraverso alcuni scalini
conduce all’aperto, in una specie di patio con l’erba. No, prima c’è un po’
di asfalto e poi c’è l’erba.
Dunque è in questo patio che ci hanno fatto uscire, in la indiana, e
così ci siamo trovati all’aperto. Sì, sì, all’aperto. Era ormai giorno, c’era
molta luce. Ma lì all’aperto non c’era nessuno. Né un poliziotto, né uno
sportivo, nessuno. Non c’era nemmeno una voce, nemmeno un rumore.
L’unico rumore che ho sentito, dopo un po’, è stato il cinguettio di un
uccello. A quell’ora, sai, gli uccelli cantano, E mi ha fatto impressione quel
cinguettio di uccello, non so perché.
Mi sono spiegato bene? Fuori, nel patio, non c’era nessuno. Se uno
avesse guardato dalle nestre dell’edi cio di fronte, quello dove stavano i
coreani e i tedeschi della Germania orientale, avrebbe visto soltanto
questi tre arabi col fucile puntato e questi sette uomini in la. Uno
vestito, uno coi pantaloni e basta, e cinque in mutande e basta.
Quasi una scena bu a. E di questi sette uomini, io ero il primo. E
siccome ero il primo, sono stato il primo a vedere il quarto arabo. Perché
lì, fuori, c’era un quarto arabo. E questo non era a viso scoperto: aveva il
viso incappucciato da una maschera con due buchi per gli occhi. Io gli
sono quasi sbattuto addosso. Me lo sono trovato a nemmeno venti
centimetri di distanza. Infatti il mio braccio ha s orato il suo braccio. Ma
lui non ha detto una parola. Mi ha guardato con quegli occhi neri e basta.
E poi, muovendo appena il fucile che era un kalashnikov come i fucili
degli altri, mi ha fatto segno di spostarmi. E io mi sono spostato. E nello
stesso momento in cui mi sono spostato ho fatto un balzo in avanti e sono
fuggito. Non mi chiedere altri particolari, non saprei dirti altro, non
ricordo altro. Non ricordo nemmeno se ci avevo pensato prima: voglio
dire a scappare. Ricordo solo che, quando l’arabo con la maschera mi ha
fatto segno di andare lì, io sono andato lì ma non mi sono fermato lì e ho
fatto il balzo e sono fuggito. Sono fuggito verso le colonne dell’angolo,
verso l’angolo. Per girare l’angolo. E ho girato l’angolo. Volavo come se
avessi le ali. Non mi ero mai sentito così veloce, così leggero, privo di
corpo. E mentre giravo l’angolo ho udito tre schi: Zif! Zif! Zif! I schi di
tre pallottole. E ho pensato: sparano, mi sparano. E ho continuato a
correre: però a zig-zag, come ci insegnano nell’esercito quando ci
spiegano che sotto le pallottole bisogna correre a zig-zag in quanto a zig-
zag è meno facile che ci colpiscano.