Page 174 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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Zeev Friedman e Moshe Weinberg. Poi un terzo arabo che gli puntava
addosso il kalashnikov perché non scappassero. Anche questo terzo arabo
era molto giovane e molto nervoso, e anche lui indossava una camicia
nera. No, nemmeno lui aveva la faccia coperta da una maschera o cose
simili. Ci siamo messi accanto a Romano, Friedman e Weinberg.
Weinberg era l’unico vestito: giacca, pantaloni, camicia, scarpe, tutto.
Ed era ferito alla faccia. Aveva un fazzoletto legato intorno alla faccia, a
mo’ di bavaglio, e se lo reggeva con la mano sinistra, e da questo
fazzoletto colava un mucchio di sangue. Allora gli ho chiesto: «Moshe, che
hai fatto?». E lui m’ha risposto: «Una pallottola. M’hanno sparato». Poi
non mi ha detto altro perché il comandante ha mosso il fucile e ha detto
in tono arrabbiato: «Silenzio!». L’ha detto in ebraico. Sapeva l’ebraico.
Così siamo rimasti in silenzio, a guardarci, e anche Romano, anche
Friedman, erano in mutande.
Però Romano calzava un paio di ciabatte. Me ne sono accorto mentre
mi chiedevo perché Moshe Weinberg fosse lì. Voglio dire: Friedman e
Romano abitavano nella stanza numero Tre, come noi, ma Weinberg
abitava nella stanza numero Uno. Poi ho capito che a portare Weinberg
da noi erano stati i terroristi e che forse lui non voleva e per questo gli
avevan sparato. Come si comportava Moshe? Bene. In modo dignitoso.
Nemmeno un lamento. Si reggeva quel fazzoletto sempre più inzuppato
di sangue e basta. Del resto si comportavano bene tutti. Calmi, tranquilli.
Molto più tranquilli dei due arabi con le camicie nere. Infatti, a un certo
punto, il comandante ha perso la sua allegria e s’è irritato con loro. Gli ha
detto qualcosa in arabo. Non so cosa, forse qualcosa per fargli coraggio.
Però in modo durissimo, e a denti stretti. E loro sono diventati un po’
meno nervosi.
Dopo aver fatto questo, il comandante s’è rivolto a Weinberg. E gli ha
chiesto: «Dove sono gli altri? Dove sono tutti gli israeliani?». Gliel’ha
chiesto in inglese: «Where are the others? Where are all the Israelis?». Ma
Weinberg non ha risposto e ha continuato a frenare il sangue che, mi
sono accorto, usciva da un buco nella guancia destra. Non ha risposto,
dicevo, e allora David Berger ci ha detto in ebraico: «Ragazzi, vogliono
tutti gli israeliani. Saltiamogli addosso, tanto non abbiamo nulla da
perdere. Siamo spacciati». L’ha detto molto velocemente, e a voce bassa,
in ebraico, ma il comandante ha capito e col fucile ha tirato una botta sul
braccio di Berger. Poi ci ha ordinato di spostarci, di separarci. Ce l’ha
ordinato a gesti, non a parole, perché come ho spiegato non era un tipo
che avesse bisogno di usar molte parole: avresti detto che parlare gli
costasse fatica. E i due arabi con le camicie nere ci hanno staccato. E ci
hanno messo in la. In la indiana. In modo molto rapido, molto deciso.