Page 176 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
P. 176
E a zig-zag ho corso per circa quaranta metri, nché sono arrivato a
una siepe. Era una siepe assai alta ma l’ho saltata, con un lancio, anzi ci
sono volato sopra, come un uccello, ricadendo dinanzi a una garitta delle
Giacche Blu. Della polizia. Ma la garitta era vuota. Non c’era nemmeno
una Giacca Blu, dentro, non c’era nessuno. Così ho continuato a correre e
non mi chiedere se pensavo ai miei compagni mentre correvo.
Perché non ci pensavo. È la santa verità. Se vuoi, la brutta verità. Dico
brutta perché alcuni giornali, qui in Israele, hanno scritto che ho fatto
male ad abbandonare i miei compagni: a pensare a me stesso e basta.
Hanno scritto che dovevo restare con loro, dividere la loro sorte, ma la
mia fuga non è nata da un ragionamento. È nata così. Sono scappato
quasi senza rendermi conto che stavo scappando, per disperazione, senza
calcolare neanche il pericolo d’essere ucciso. Tanto, morto per morto.
Quando ci hanno portato fuori e ho sbattuto contro l’arabo con la
maschera, mi sentivo già morto.
Poi sono arrivato a un edi cio. Non so che edi cio fosse. So che sono
entrato, ansimando, e ho detto in inglese: «Quattro arabi vogliono
ammazzare gli israeliani!
Four arabs want to kill Israelis!». E loro mi hanno guardato senza
capire, tutti imbambolati. Poi hanno capito e mi hanno chiesto: «Were?
Dove?». E io ho gridato:
House 31, Connolly Street!». E loro mi hanno detto di accompagnarli
alla House 31, Connolly Street. E io gli ho risposto: «Siete matti, io lì non
ci torno». Così loro l’hanno presa con calma. Come «loro chi?». Loro
Giacche Blu, no? Loro poliziotti. E mi hanno detto: «Facci vedere almeno
la direzione». E io gli ho fatto vedere la direzione, li ho accompagnati alla
siepe. E loro sono venuti alla siepe, poi sono tornati indietro, e prima che
telefonassero alla polizia perché ci mandasse qualcuno alla House 31
saranno passati venti minuti. Non avevano proprio fretta, sembravano
preoccupati soltanto di capire bene ciò che dicevo. Ed erano così lenti di
comprendonio. Io gridavo: «Andate, andate!». E poi gridavo: «Telefonate
al signor Lalkin, telefonate!».
Ma non serviva a nulla. E da questo momento non so raccontarti più
nulla. So dirti solo che i tedeschi si sono comportati male con noi, molto
male. E non solo perché è passato tanto tempo prima che andassero ai
nostri alloggi per controllare se avevo detto la verità. Perché non ci
proteggevano a atto, né di giorno né di notte, io una notte sono tornato
alle due e, dall’ingresso fino ai nostri alloggi, non ho incontrato nessuno.
Neanche un poliziotto.
Dopo quel che è successo, ho verso di loro lo stesso rancore che ho verso
gli arabi.