Page 24 - Oriana Fallaci - Intervista con se stessa. L'Apocalisse.
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piangere senza lacrime riguarda un altro cancro. Un cancro ben
                più tragico, ben più irrimediabile, del mio. Un cancro per il

                quale non esistono chirurgie, chemioterapie, radioterapie. Il
                cancro del nuovo nazifascismo, del nuovo bolscevismo, del

                collaborazionismo nutrito dal falso pacifismo, dal falso
                buonismo, dall'ignoranza, dall'indifferenza, dall'inerzia di chi

                non ragiona o ha paura. Il cancro dell'Occidente, dell'Europa, e

                in particolare dell'Italia. Il cancro per il quale soffro assai più di
                quanto soffra per il mio. Ne soffro a tal punto che vi sono

                momenti in cui non capisco se il mio tormento venga dai dolori
                del corpo o dai dolori dell'anima. Di questo mi resi conto

                durante un'altra notte di tregenda. Un sabba pieno di diavoli, di
                streghe, di fantasmi che ballavano orgiasticamente dentro la

                pioggia e ballando mi pugnalavano al cuore. Mi ridevano in
                faccia, si facevano beffe di me. Insomma la notte in cui scoprii

                le nequizie di Abu Graib.


                Proprio un punto a cui volevo arrivare.



                Ne son certa. E questo non mi piace. Perché i giornali e le

                televisioni ci hanno vissuto di rendita, su Abu Graib. Non
                passava giorno senza che ci inzuppassero il pane. E per

                inzupparcelo meglio minimizzavano le nequizie che avvenivano
                sull'altra sponda. Cosa a proposito della quale devo dire che su

                certe faccende non accetto lezioni di civiltà da nessuno. Io le ho
                impartite tutta la mia vita, quelle lezioni. Attraverso i miei libri,

                le mie corrispondenze di guerra, il mio comportamento
                quotidiano. Sono stata educata bene, io, non come gli ipocriti

                che fanno i moralisti da una parte e basta. Avevo quattordici-
                quindici anni quando in via Ponte alle Mosse, a Firenze, vidi

                mia madre picchiare una mascalzona che maltrattava i

                prigionieri tedeschi. Prigionieri incatenati e ammassati su un
                camion aperto. Il camion s'era fermato accanto al marciapiede e

                la mascalzona, peraltro moglie d'un ex-federale fascista (cosa



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