Page 25 - Oriana Fallaci - Intervista con se stessa. L'Apocalisse.
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che la dice lunga sugli italiani voltagabbana), s'era messa a
colpirli con schiaffi e con pugni. Bè, non so immaginare una
donna che a quel tempo odiasse i tedeschi più di mia madre.
Nella Resistenza, fino al giorno prima, c'era stata anche lei:
ricorda? Non so immaginare nemmeno una signora più garbata,
quindi meno manesca, di mia madre. Eppure appena s'accorse
che nessuno reagiva allo scempio si gettò su quella donna come
un gatto infuriato. La agguantò per il collo e prese a picchiarla
selvaggiamente. In faccia, sulla testa, sullo stomaco. E
picchiandola ruggiva:
«Miserabile, iena, vigliacca! Non si tocca un uomo in catene!
Un uomo in catene è sacro anche se è un sudicione come te!».
Non l'ho mai dimenticato.
Mai. Infatti la notte in cui le streghe e i diavoli e i fantasmi
ballavano orgiasticamente dentro la pioggia, si beffavano di me,
soffrii quanto avevo sofferto per l'assassinio di Quattrocchi, e di
quei militari americani pensai cose che i professionisti
dell'antiamericanismo non si sognan nemmeno. Del signor
Rumsfeld che certo sapeva, lo stesso. Mi sentii tradita, offesa,
ingannata. Mi sentii come una moglie che ha sorpreso il marito
a letto con un'altra donna, e volevo divorziare. Volevo lasciare
la mia casa di New York e restituire a Rumsfeld la mia
Permanent Resident Card. E se avessi incontrato la miserabile
che vestita da soldatessa s'è fatta fotografare mentre teneva il
prigioniero iracheno a guinzaglio, l'avrei picchiata come mia
madre aveva picchiato la moglie dell'ex-federale fascista.
L'avrei massacrata di botte.
Senza intervistarla, senza interrogarla sui perché?
Ovvio. E senza chiedermi se quel prigioniero fosse un criminale
di Saddam Hussein. Se avesse gassato i curdi, torturato e ucciso
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