Page 84 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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io ero io; aveva pochissimo tempo e l'unico modo di far
l'intervista era farla mangiando. M'invitava per questo nel
ristorante dove in quel momento entravamo.
Tentai di distoglierlo da un così orrendo progetto. Il
magnetofono funzionava elettricamente, la presa di corrente non
c'era, se c'era non era vicino alla tavola: non servì a niente. O al
ristorante mentre mangiavamo o in nessun altro luogo e mai più.
Cercai dunque una tavola accanto a una presa di corrente,
sistemai il magnetofono fra i piatti e i bicchieri, il vassoio degli
antipasti, cominciai l'intervista che subito interrotta da
innumerevoli telefonate proseguì con la lievità di uno zoppo che
corre; tra un rumore di forchette, bottiglie, masticazioni volgari.
Riascoltandola risultavano frasi come la seguente: «Con questo
film ho inteso narrare... tu vuoi il prosciutto o il salame? Io
piglio il salame. Quelli che parlano di dialettica metafisica... no,
le pastasciutte non le voglio, fanno ingrassare. Una bistecca
senza sale, ecco quello che prendo... è cosi stupido chiudere gli
occhi al mistero.,, crack! din din... il silenzio che ti circonda e
diventa chiarore... le patatine! Perché non mangi le patatine?».
Nessun dubbio che bisognava ripeterla. E sospirando, gemendo,
Fellini rispose d'accordo: poiché io ero io sarebbe venuto
l'indomani alle dieci al mio albergo. «Ma in albergo non stiamo
tranquilli, Federico.» «Lo saremo.
Salirò in camera tua.» La mia camera all'Excelsior non era
grandissima e un letto a due piazze la riempiva fino a sfiorar le
pareti. Conoscendo la seduzione che i letti esercitano su
Federico Fellini, per addormentarvicisi è chiaro, chiesi al
manager un appartamento con salotto: «Aspetto Fellini».
«Fellini, signorina Fallaci? Oh! Ma certo! Ma sì.» E mi dettero
l'appartamento dove avevano abitato lo scià di Persia e Soraya:
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