Page 83 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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sospettosi del mondo che finalmente gli chiesero i documenti, lo
arrestarono perché non li aveva, e lo chiusero fino alle sei del
mattino in una cella dove rimase a gridare l'unica frase che
conoscesse in inglese: «I am Federico Fellini, famous Italian
director». Alle sei del mattino un poliziotto italoamericano che
aveva visto non so quante volte La strada lo udì: «Se sei
davvero Fellini, esci fuori e fischia il motivo de La strada».
Fellini uscì fuori e con un filo di voce, lui che non distingue una
marcia da un minuetto, fischiò tutta la colonna sonora del film.
Un trionfo. Con affettuosi pugni allo stomaco che lo indussero a
bere brodini per almeno due settimane, i poliziotti gli chiesero
scusa, lo riaccompagnarono in albergo scortandolo con
motociclette ed auto blindate, lo salutarono con uno
strombettare di clacson che si udì fino ad Harlem. A quel tempo
Fellini era proprio simpatico.
Quando lo avvicinai per questa intervista lo era un po'"meno
sebbene mi salutasse, com'è sua abitudine, sollevandomi in un
ardentissimo abbraccio, palpandomi dal collo ai ginocchi,
giurando che se non fosse stato sposato a Giulietta avrebbe
sposato subito me. «A proposito, perché non ci amammo a New
York? Ah, quanto fosti cattiva a negarti!» E fingeva di scordare,
s'intende, che nemmeno una volta durante le nostre scorribande
a New York m'era giunto da lui un romantico cenno, una
adulterina proposta che ci distraesse dai reciproci flirt. Aveva
girato La dolce vita, un film per cui lo paragonavano a
Shakespeare, stava per presentare Otto e mezzo, un film di cui
si parlava senza averlo visto come della Divina Commedia, e
pur non confessandolo era conscio della gloria che lo
illuminava: il suo volto aveva un piglio quasi mussolinesco, i
suoi occhi eran gravi, si capiva che non avrei più potuto
chiamarlo Pallino o Pallone. Del resto, esauriti gli abbracci, me
lo fece capir quasi subito. M'aveva ricevuto, disse, solo perché
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