Page 359 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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diritto di vivere come gli pare, essere stravagante come gli pare,
                disporre  dei  sentimenti  e  dei  gusti  come  gli  pare.  Ma  una

                piccola  cosa  mi  infastidisce  a  Spoleto:  il  pericolo  che  essa
                diventi il faro di gente che non si cura affatto dell'anima come

                vuol  lei:  si  cura  piuttosto,  diciamo,  di  predicare  una  fede
                particolare nella morale e il costume.



                Sono perfettamente, completamente d'accordo. Ma quella gente

                non è gente che viene solo a Spoleto: è gente che va a tutti i
                festival. La differenza fra qui e gli altri festival è che Spoleto è

                più piccola, tutti si ritrovano in piazza, due o tre persone con la
                camicia rosa e i sandali d'oro si vedono subito: «Ma guarda, ma

                guarda».  Non  voglio  insultare  nessuno  ma  bastano  due
                compagnie di balletti, un negro vestito da Harlem, coi pantaloni

                un  po'  troppo  stretti,  l'andatura  un  po'"dondolante,  per  far
                esclamare: «Ma vedi, ma vedi!...». A Vienna, a Venezia, a New

                York  nessuno  si  cura  di  loro,  qui  li  mettono  in  croce.  D'altra
                parte cosa vuol farci? Io mi rifiuto di mettere la foglia di fico

                alle statue.



                Vero  anche  questo.  Lasciamo  dunque  le  foglie  di  fico  e
                parliamo di cose più belle: ad esempio l'amore tenace, nemmeno

                assai  corrisposto,  che  la  lega  all'Italia.  Gli  italiani  la  trattano
                spesso malino, basti pensare al fiasco che fece la sua opera Il

                console  alla  Scala,  all'indifferenza  con  cui  vengono  accolti  i
                suoi  melodrammi.  Gli  americani  invece  la  adorano,  la

                considerano uno dei più grandi compositori viventi. In America
                vive da quasi trent'anni. Eppure non ha mai preso la cittadinanza

                americana e ogni anno, come le rondini, torna. Perché?



                Perché sono italiano, anzi milanese. Perché sono legato alla mia
                terra e non riesco, non riesco a staccarmi da essa. Ogni volta che

                torno sul lago di Lugano, dove son nato, mi sale un tremito dalle
                radici del cuore. È curioso: gli emigranti, di regola, non amano




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