Page 354 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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sul tavolo dove vendevan programmi ci mettemmo a correggere
                il  dattiloscritto.  «Capisci,»  esclamò  «soprattutto  mi  secca

                passare da santo, anzi da cattivo santo. Non perché abbia niente
                contro i santi: ma perché non lo sono, purtroppo. Sono piuttosto

                un diavolo.» E con la sua calligrafia inquieta, fatta di lettere che
                assomigliano  a  note,  pigiate,  scrisse:  «Sono  piuttosto  un

                diavolo».  Ciò  mi  convinse  dell'unica  cosa  sulla  quale  non

                possono esistere dubbi ed equivoci: che è un uomo coraggioso
                ed onesto. Un uomo chic.



                ORIANA  FALLACI:  Eccolo  qua,  maestro  Menotti;  con  quel
                volto bianco e affilato, quell'aria stanca che ha sempre quando

                la incontro a Spoleto. Lo sa chi mi ricorda quando la incontro a
                Spoleto? Quelle brave signore dell'Esercito della Salvezza che

                la  sera  si  piantano  dinanzi  a  un  luogo  di  perdizione  o  un
                nightclub e fiduciose, imperterrite, cantano le lodi del Signore

                invocando il riscatto di quei peccatori. La gente passa, sorride,
                le prende in giro magari, ed esse restano lì, col loro eroismo un

                po'"assurdo,  a  cantar  per  un  mondo  che  ha  l'ovatta  dentro  gli

                orecchi. Forse v'è in me il solito scetticismo degli italiani: ma io
                non la capisco, maestro Menotti. Ma come: è un artista famoso,

                ha  la  sua  musica,  l'America  ai  piedi,  potrebbe  vivere  in  pace
                nella sua casa a Mount Kisko, comporre le opere, e invece sta a

                perdere tempo a Spoleto, a predicare il suo sogno utopistico a
                un  mondo  che  ha  l'ovatta  dentro  gli  orecchi.  Ma  chi  glielo  fa

                fare, maestro Menotti?'.?


                GIANCARLO MENOTTI: Guardi, dev'essere perché ho sempre

                sofferto di un complesso di colpa, quello di non far niente per
                gli  altri,  e  di  un  terrore  costante,  quello  d'essere  inutile.

                Dev'essere  perché  tutta  la  vita  ho  desiderato  servire  i  vicini:

                questo è un modo per servire i vicini. Ma come, dice lei, la sua
                arte non le basta? No, le rispondo, non mi basta. Se avessi il

                dono di Verdi, se con la musica riuscissi a trascinare le masse,



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