Page 355 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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allora mi basterebbe. Ma non l'ho, questo dono, avverto i miei
limiti, perciò tento di far qualcos'altro. Vede, l'arte oggigiorno è
una pianta esotica che l'umanità non conosce o capisce sempre
di meno; l'artista un ornamento della società anziché una parte
essenziale della società. Uno scrive ma scrive per chi? Per i
colleghi, per un gruppo di intellettuali, per le solite facce che
son sempre le solite facce a Venezia come a Bayreuth, a
Palermo come a Salisburgo. Le solite, solite facce che non mi
interessano. A me interessa il pubblico, quello che aveva Verdi,
Puccini, ed era tutta Roma, tutta Milano, tutta New York. Ma il
pubblico, oggi, dov'è? È alle partite di calcio, nei cinematografi,
dinanzi alla televisione: per noi artisti è andato distrutto. Sicché
a un certo punto io mi son detto: cosa m'importa di scrivere
un'opera per il Metropolitan, un concerto per la Filarmonica, un
balletto per la Scala, se il pubblico lì non c'è più?
Lì ci sono le belle signore che vanno per indossare vestiti,
esibire gioielli: cosa m'importa di loro?
Niente, ma niente. Spoleto... Spoleto, ecco, è il tentativo di
ritrovare il pubblico che avevano Verdi e Puccini, il tentativo di
ridare all'artista la dignità che l'artista aveva nel Rinascimento,
d'essere parte essenziale di una comunità. Un tentativo piccolo,
un tentativo minuscolo: ma un tentativo. E va da sé che a me
non serve di certo: a Spoleto non ho mai dato un'opera mia e
non la darò mai.
Lo so: teme l'accusa che abbia inventato il festival per suo uso e
consumo. So anche come vede Spoleto: come un santuario
dell'arte, un'oasi dedicata allo spirito, una stazione climatica
dell'anima eccetera. Ma quando io vengo a Spoleto vi trovo le
solite facce di Venezia e Bayreuth, Salisburgo e Palermo: un
pubblico frivolo, superficiale, ignorante, coi cerotti sugli occhi e
la cera dentro gli orecchi.
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