Page 352 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
P. 352
nell'acqua. Le acque mi travolgevano presto ma coi gesti di un
angelo il demonio mi portava subito in salvo. A casa mi
deponeva castamente su un letto e qui, tra l'imbarazzo di
entrambi, riacquistavo i miei contorni di donna. Mi ci volle una
doccia ben fredda per andare all'appuntamento.
Il demonio mi aspettava a Palazzo Campello, nel salotto dove
lavora già all'alba: carta da musica era sparsa per terra, sui
tavoli, sul pianoforte. Consumato, malinconico, vestito di
grigio, assomigliava solo a quello che è: un musicista. Pensai
anzi, ricordo, che se lo avessi incontrato per strada ignorando il
suo volto e il suo nome avrei detto fra me «costui è un
musicista». Il magnetofono non gli faceva per niente terrore: col
misterioso sorriso vi gettò appena lo sguardo e prese a parlare
come se non fosse esistito. Nessuna domanda, nessun
argomento lo trovava impreparato o incerto; rispose in modo
brillante perfino quando gli dissi che una cosa irritava la mia
tolleranza a Spoleto: il pericolo che questo festival diventasse il
faro di stravaganti decisi ad imporre anziché a vivere una loro
morale ed un loro costume. Non si inquietò nemmeno quando
osservai che secondo me era delitto sacrificarsi come egli si
sacrifica per un mondo di idioti, con l'ovatta dentro gli orecchi:
che lasciasse perdere tutti e si dedicasse più a lungo alla sua
bella musica. Il suo cervello ha l'agilità delle dita quando
suonano il pianoforte: riesce a dire quello che vuole ed a tacere
quello che vuole con la sveltezza dei maghi che tolgono un
coniglio dal cilindro.
La sua parlata è semplice, appena snobistica per qualche parola
in inglese: rende accettabile tutto quello che dice. La sua
costruzione della frase è familiare, simpatica: trasforma
allegramente anche discorsi noiosi. Durante l'intera
conversazione non si mosse mai dal divano dove sedeva e tenne
sempre quell'atteggiamento noncurante: gambe accavallate,
352