Page 246 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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pagine non vorrà più avvicinarmi, son certa.


                Sputerà  atroci  insulti  sulla  mia  scortesia,  dirà  che  sono  una

                mocciosa  cretina,  imbecille,  villana,  ignorante,  analfabeta,

                invidiosa,  che  non  so  scrivere,  che  non  so  leggere,  che  firmo
                con la croce, che me la faccio coi suoi nemici, che se mi trova

                mi prende a calci. Peccato.


                ORIANA  FALLACI:  Non  ci  capisco  nulla,  professore.  Tutti

                sostengono  che  lei  è  talmente  spinoso,  stizzoso,  facile  all'ira,
                intrattabile: «Buca come un ficodindia» mi avevano detto «.con

                la  differenza  che  non  si  può  neppure  mangiare  perché  la  sua

                polpa  è  amarissima».  «Ha  una  sterminata  ammirazione  di  sé,
                disprezza  chiunque  non  sia  Salvatore  Quasimodo,  ti  tratterà
                come un verme.»



                «Si  accende  come  un  fiammifero,  non  gli  va  bene  nulla  e

                nessuno,  se  scrivi  tutto  quello  che  dice  finisci  in  galera.»  E
                invece ha un'aria talmente gentile, composta, triste direi. Perfino

                i suoi baffetti son tristi, e le sue mani, e i suoi occhi. Forse un
                poeta  dev'essere  triste.  Ma  lo  sa,  professore,  che  questa  è  la

                prima  volta  in  cui  mi  trovo  a  tu  per  tu  con  un  poeta?  Voglio
                dire: una volta sono stata a cena con Ungaretti, così bianco, così

                carino, un'altra volta ho chiacchierato un po'"con Montale, così

                educato,  così  elegante...  Oddio!  Ho  detto  qualcosa  che  non
                dovevo?  Mi  perdoni,  mi  scusi,  non  credevo  di  farle  dispetto.
                Ver carità, professore, non mi guardi a quel ] modo. Lei è il mio

                preferito,  lo  giuro,  guardi,  so  perfino  i  suoi  versi  a  memoria:

                «Ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di
                sole / ed è subito sera...» SALVATORE QUASIMODO: La mia

                tristezza è di natura mediterranea, cara fanciulla. Il mal di fegato
                lo  faccio  venire  agli  altri.  Lo  faccio  venire  a  Montale,  a

                Ungaretti, e anche a Emilio Cecchi che una settimana prima del
                Premio Nobel aveva recensito un'antologia della poesia europea




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