Page 245 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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immaginammo al liceo il Poeta non ha il distacco, l'indifferenza
per le cose terrene. Adora, ecco, l'ammirazione e la gloria: il
fatto che Mussolini chiedesse sempre i suoi libri lo lusinga
come una corona d'alloro. E va da sé che fra tutti i letterati
italiani egli è uno dei pochi che non sia mai stato fascista, in
quel senso la sua anima è netta: meritava di scrivere la
splendida epigrafe che rammenta agli immemori la strage di
Marzabotto. Io lo presi in castagna soltanto quando, avendomi
detto d'essere l'interprete morale della Resistenza, gli chiesi
dov'era a quel tempo e cosa faceva. Rispose che era a Milano,
mi fece capire che aveva fatto assai poco: solo una volta aveva
rischiato di finire in prigione per aver dato di imbecille a un
fascista. Non si può pretendere che il mondo sia popolato di
eroi. A me basta che Salvatore Quasimodo abbia dato una volta
di imbecille a un fascista.
L'intervista prese un'intera mattina e fu continuamente turbata
dalle telefonate di un comunista che lo invitava ad una
conferenza in provincia di Varese. Lui non voleva perché a
Lecco gli era successo qualcosa che non ricordo e strillava che
al Premio Nobel si rivolgono inviti per Oxford, per Cambridge,
per Harvard, per la Sorbona, non per la provincia di Varese.
Ma poi, stavo ormai per andarmene, capitolò. E all'ennesima
telefonata rispose va bene, ci sarebbe andato a Varese: anzi in
provincia di Varese. Era una mattina di marzo, dalle finestre del
Poeta entrava un acre odor di caffè: al piano terreno dell'edificio
in cui abita c'è un negozio per la torrefazione del caffè. Io gli
guardavo i baffetti, la disperata calvizie, quella bocca a coltello,
maligna, e avrei voluto spiegargli che questo capitolare dinanzi
a Varese anzi la provincia di Varese lo rendeva ancor più
simpatico, più caro al mio cuore. Ma non vi riuscii, o non ne
ebbi il coraggio, e mi limitai a salutarlo con un «Arnvederci,
professore». Escludo, purtroppo, che lo rivedrò: dopo queste
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