Page 23 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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io ero entusiasta. In America tutto sembrava così facile,
eccitante, privo di invidia. Sì, all'inizio l'America fu per me
come una favola: bellissimi parties, bellissimi luoghi, bellissimi
uomini con cui recitare... Poi incominciò la monotonia. E da
quel momento mi trovai bene solo negli studios perché gli
studios sono uguali in tutto il mondo e al di là di quei muri può
esserci la Svezia come la Francia come l'Italia...
Può darsi che mi sbagli, signora Bergman: ma mi sembra di
notare una certa esitazione quando parla dell'Italia. Ma lei ci
torna volentieri in Italia, o no?
Volentieri? Ma sì! Certo, certo... Non ho niente contro l'Italia. Il
fatto è che preferisco Parigi. Parigi è più grande, più larga, a
Parigi mi sento più libera, meno osservata. Roma, in fondo, è
una piccola città dove non si è mai soli, mai lontani dagli
sguardi degli altri. Cammini per strada e odi i commenti:
«Questa va fuori con quello», «questa si veste così...». A Parigi
nessuno si interessa a ciò che fai.
Eppure una volta, alla televisione francese, lei disse di preferire
gli italiani. Ero a Parigi, per caso.
Ricordo che il telecronista le chiese qual era il popolo migliore
del mondo e lei rispose: gli italiani.
Il telecronista ci restò male. Era una boutade?
Io non dico boutades. Io dico solo e sempre ciò che penso. Dissi
che gli italiani erano i più buoni: e ne sono convinta. C'è un
calore umano negli italiani che non c'è nei francesi. Se chiedo a
un francese dov'è la strada Tal dei Tali non mi risponde
nemmeno, gli secca aiutarmi. Se lo chiedo a un italiano, non
solo mi risponde ma mi ci accompagna e, camminando accanto,
mi racconta metà della sua vita: quando è nato, e dove, e da chi,
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