Page 181 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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cui non la si invitasse. Nell'elegante casa della
Settantaquattresima Strada andavano spesso Greta Garbo e
Salvador Dali, Rockefeller e la Vanderbilt, per non dir di John
Kennedy per il quale l’Afdera aveva fatto anche la propaganda
elettorale. La sua esasperata mondanità, la sua falsa follia, la
rendevano simpatica a tutti. Pur non essendo mai stata
bellissima (usa dire di sé «sono una culona romana») passava
per una delle donne più belle della high society newyorkese.
Pur non essendo mai stata Madame Curie o Eleanor Roosevelt,
passava per una delle più intelligenti. Con lei infatti non ci si
annoiava mai, si poteva parlare di tutto. Tra un lampeggiar di
occhi verdi e un fiammeggiare di riccioli rossi riusciva perfino a
citare Spinoza per dimenticarlo subito dopo e narrare che le
aveva telefonato indovinate chi? Von Braun. Credo che solo le
gheisce migliori di Kyoto avessero ai bei tempi la cultura
superficialmente enciclopedica di Afdera.
L'Afdera insomma era proprio ciò che cercavo. Ciò che tra
l'altro cercavo quell'autunno a New York era una donna che
completasse alla mia fantasia un personaggio del romanzo che
stavo scrivendo: quello di Martine in Penelope alla guerra. E a
Martine lei assomigliava moltissimo. Si muoveva come
Martine, si vestiva come Martine, non dormiva la notte come
Martine, commetteva gaffes come Martine. Cominciai dunque a
frequentarla con assiduita’, ad osservarla con attenzione. E ben
presto le dissi perfino perché: il personaggio di Martine, frivola
ricca svagata, sarebbe stato il libero ritratto di due donne che
conoscevo, lei e la moglie del regista Vincent Minnelli, Denise.
L'accostamento con Denise le piacque poco: come spesso
accade tra le prime donne o le donne fuor del comune, Afdera e
Denise non sono amicone. Tuttavia continuò ad accettarmi:
forse non mi aveva preso sul serio, l'Afdera non prende mai
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