Page 182 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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niente e nessuno sul serio. Continuò a portarmi in giro, a
presentarmi persone, a farmi scoprire mode nuove come il twist
che quell'autunno trionfava al Peppermint Lounge, a invitarmi a
pranzo tra le lacche cinesi e le tabacchiere settecentesche, a
offrirmi lo spettacolo quotidiano del mondo di Martine. Spesso
precedendola o seguendola nella mia fantasia: Martine aveva
già trovato lavoro come modella da «Harper" s Bazaar» quando
Afdera trovò lavoro come giornalista da «Vogue». Quando me
ne dette l'annuncio sbiancai: indossava perfino lo stesso vestito
che avevo fatto indossare a Martine, uno Chanel beige. Si
esprimeva perfino con la medesima frase: «Sono entrata a far
parte della classe chiamata classe che lavora».
Fu, grazie all'Afdera, un autunno meraviglioso: durante il quale
mi divertii come non m'ero mai divertita. Partire da New York e
salutarla ebbe lo stesso sapore sgradevole di una vacanza
interrotta.
In Italia continuai a lavorare alla stesura definitiva del libro ma
l'Afdera e Martine erano talmente la stessa persona, ormai, che
spesso anziché scriver Martine scrivevo Afdera e un giorno
scrivendo all'Afdera scrissi «Cara Martine». Mi scriveva, ogni
tanto, anche lei: su carta rigata, col lapis, ed una calligrafia
orrenda quanto la sua dizione che è un torrente di parole
masticate prima che lascin la gola.
Lettere divertentissime: nelle quali narrava gli stupori di
un'italiana che non ha mai fatto nulla e all'improvviso si trova in
un giornale di americane che fin dalla nascita sono state educate
a fare qualcosa. Tutta colpa, spiegava, del metabolismo: il suo
metabolismo era lunare, vale a dire notturno, quello delle
americane era solare, vale a dire mattiniero. «La mattina esse
son fresche come insalate ed io sembro una foglia appassita. Ma
il pomeriggio loro appassiscono, io m'apro come una rosa e le
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