Page 166 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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«Vorrei  che  tu  facessi  il  medico,  da  grande»  e  il  fatto  che
                abbandonassi  le  sale  anatomiche  per  i  giornali  lo  riempì  di

                dolore: quasi le avessi lasciate per far la ballerina o la trapezista.
                Quando il Gianni andava alle medie suo padre diceva «Vorrei

                che  tu  facessi  il  calciatore,  da  grande»  e  il  fatto  che
                abbandonasse ragioneria lo riempì di sollievo. Diventar medici,

                avvocati, ingegneri è quasi sciocchezza per i poveri degli anni

                Sessanta; legger libri, una distrazione quasi imbecille; diventare
                ciclisti, calciatori, boxeurs è innalzarsi agli dei. «Mio figlio è in

                seconda liceo ma gioca bene al pallone» disse il tassista che mi
                portò da Gianni Rivera; «io glielo dico sempre: che studi a fare?

                Pensa  piuttosto  a  perfezionare  il  pallone.  Quest'anno,  grazie  a
                Dio, lo hanno preso tra i ragazzi del Milan.» Studiare va sempre

                meno di moda: non c'è la televisione a raccontarci le cose? Né è
                detto,  del  resto,  che  abbiano  torto.  Attendere  è  duro  quando  i

                genitori e i genitori dei genitori non hanno fatto che attendere e,
                con la cattedra di letteratura, Salvatore Quasimodo guadagna in

                un mese quel che Gianni Rivera guadagna in una domenica; a
                insegnar Tabe in un villaggio, una maestra guadagna in un mese

                quel che Mina guadagna in un minuto secondo.



                Parlammo soprattutto di questo, col Gianni, mentre la mamma
                del  Gianni  mi  guardava  sempre  più  gelosa.  Ora  questa

                sconosciuta voleva anche farlo studiare, il suo Gianni. Ah, se ci
                fosse stato suo padre! Lui sì che l'avrebbe messa a tacere! E il

                suo  viso  povero,  buono,  si  storceva  di  angoscia;  la  sua  bocca
                triste si serrava in paura. Così non so se fu molto contenta che il

                Gianni  insistesse  perché  restassi  a  mangiare  e  apparecchiasse
                perfino  la  tavola  delle  occasioni  importanti.  Diventò  più

                tranquilla  solo  quando  si  accorse  che  a  tavola  non  parlavo  di
                libri. Il Gianni intanto mi ripeteva quanto gli pesa non sapere le

                cose, non parlare le lingue, quando si viaggia e non si sanno le
                lingue  è  un  po'"come  essere  ciechi,  sordomuti:  a  che  serve

                vedere se non si può chiedere cosa è quel che si vede e non si



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