Page 164 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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Il figlio del ferroviere
So così poco di sport che per quasi mezz'ora chiamai il
calciatore più famoso d'Italia, il divo del pallone, il ragazzo dai
piedi d'oro, «Signor Rovere» anziché «Signor Rivera». Questo
durò fino a quando egli disse tra mortificato e divertito:
«Posso... posso dirle una cosa?». «Ma certo, ma sì.»
«Ecco: io... veramente... non mi chiamo Rovere. Mi chiamo
Rivera... Gianni Rivera.» Ne provai ammirazione. Pensate un
po'"cosa sarebbe successo se la medesima gaffe l'avessi fatta
non so, col signor Mastroianni: chiamandolo non so, signor
Castrovanni. Il signor Castrovanni, pardon, Mastroianni si
sarebbe offeso fino alle viscere, mi avrebbe cacciato come un re
offeso.
L'ammirazione per il signor Rovere, pardon Rivera, comunque,
divenne presto spavento: il solito spavento che mi prende
dinanzi ai ventenni senza timidezze o paure, già vecchi prima
d'essere adulti. Quei puntini esitanti mentre correggeva il mio
errore, infatti, furono i soli che il Gianni mi regalò. Dopo quelli
procede sicuro, diritto, proprio come accade (mi dicono) quando
accompagna in porta il pallone e fa gol. Confutò la mia
indignazione al fatto che costasse mezzo miliardo o giù di lì,
giustificò il suo disinteresse pei libri, sorrise a qualche mia
ingenuità: «Ma cosa vogliono queste ragazze quando
telefonano?». «Guardi: tutto!» Il Gianni parlava con le braccia
incrociate sul tavolo dove la famiglia Rivera mangia nelle
occasioni importanti. Nella stanza arredata con eleganza operaia
c'era solo quel tavolo, una credenza moderna, sei seggiole, un
televisore, una poltrona, un divano. Nella poltrona, allungabile,
dorme la notte il suo fratellino; nel divano di gommapiuma, ci
dorme lui.
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