Page 158 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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le chiedevo le cose che non capivo e lei rispondeva, sì, ma come
un'amica risponde a un'amica, non come una donna matura deve
rispondere a una bambina, o una madre a una figlia. Insomma,
quando mi sono accorta che mi mancava una guida. Lei si
occupava volentieri solo della mia carriera. E poi cos'era questa
carriera? Boh! La parte della ninfetta con la frangia lunga: che
poi l'ho smessa perché non ne potevo più. Oddio, la ninfetta è
un personaggio che esiste, è la ragazza coi genitori ricchi, che
frequenta ragazzi ricchi, che va male a scuola, che non ha
preoccupazioni per il futuro, che magari si sposerà e continuerà
la sua vita di piccolo animale idiota... Esiste, ma non sono io. Io
ho cominciato a lavorare a quattordici anni, e intendo continuare
a lavorare sempre perché sono ambiziosa e voglio diventare una
brava attrice. Ho sempre voluto lavorare, anche da bambina. Ho
studiato dieci anni danza classica, ho dovuto smettere perché
ero diventata troppo alta e non c'erano mai partner per me.
E lei crede di avere meritato il successo che ha avuto finoggi,
Catherine? Crede che il successo vada a chi se lo merità? Ho
letto da qualche parte questa sua frase.
Me l'hanno attribuita: io non l'ho detta. Se, nel cinema
soprattutto, il successo dovesse andare a chi se lo merita, il
cinema non esisterebbe più. Per esempio io non capisco perché
Salvo Randone non sia l'attore più celebre del mondo e tante
ragazzone tonde invece... Boh! No, nemmeno io lo merito, quel
successo. Io, quando il mio avvocato dice: «Guarda, Catherine,
il tuo successo è un fatto strano, immeritato», mi arrabbio,
rispondo: «Ma io ho fatto dei film, delle cose», ma poi concludo
che ha ragione lui.
Forse l'ha aiutata il fatto di chiamarsi Spaak. Un cognome già
noto è una buona chiave per aprire le porte.
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