Page 161 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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denigrato  dagli  intellettuali  raffinati,  alle  scarpe  Ferragamo,
                gran  novità  e  tormento  per  i  piedi  femminili  d'America,  ai

                bocchini britannici Dunhill de Nicotell, alle fuoriserie inglesi e
                italiane, all'esistenzialismo di marca parigina, a Sartre, Camus,

                Moravia, al caffè espresso, a Le Corbusier, a Stephen Spender e
                Elliott,  alle  sedie  e  lampade  svedesi,  derivava  da  quella  gran
                malattia  che  l'America  s'è  sempre  buscata  allorché  manda

                soldati e turisti in Europa.
                  Dean era la Sagan tradotta in americano, l'adolescente pazzo

                per noia romantica, più vicino all'europeissimo Truman Capote
                e  a  Oscar  Wilde  che  ai  personaggi  contadineschi  di  Peyton
                Piace  o  ai  giovani  pazzi  ma  paesani  che  si  riscontrano  nei

                romanzi americani.
                  Vivono a Hollywood centinaia di James Dean, a cominciare da

                Peter  Fray,  il  ragazzo  che  un  giorno  mi  odierà  perché
                involontariamente lo aiutai a diventare un attore.

                    Ma,  tra  questi,  chi  più  di  ogni  altro  sembra  destinato  a
                raccogliere  l'eredità  dei  blue  jeans  è  il  venticinquenne

                dinoccolato  Anthony  Perkins.  Non  è  bello,  per  esempio  ha  la
                testa  sproporzionatamente  piccola  in  confronto  al  resto  del
                corpo. Qualcuno ha scritto che «su quelle spalle da lottatore la

                testolina di Tony si rizza come quella di un rettile». Scontroso e
                timido, quando gli si parla, scalcia come un puledro pizzicato

                dalle mosche, oppure dondola sui tacchi e nasconde la faccia,
                appoggiando  il  mento  allo  stomaco  come  se  temesse  d'essere

                picchiato.  Non  riesce,  o  non  vuole,  farsi  una  ragazza.  Lo
                chiamano «the lonesomest man in Hollywood», l'uomo più solo

                di Hollywood. Per molto tempo non ha avuto una casa: abitava
                nel suo camerino alla Paramount.
                    «Mi  faceva  pena  vederlo  arrivare,  la  sera,  quando  gli  altri

                andavano via» mi disse un poliziotto della Paramount. «Veniva
                col suo pacchetto di salsicce e di uova, se le cuoceva sopra un

                fornello per sciogliere la cera del trucco, poi passeggiava fra gli
                studios e avevo sempre paura che picchiasse la testa nel muro.»

                Io l'ho incontrato più volte mentre girava con la Loren Desire



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