Page 10 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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chili scarsi di peso - fu capace di sfoderare, ogni volta che fu
                necessario,  un  glamour  e  una  consapevolezza  di  sé,  una

                professionalità da diva consumata che sembravano essere usciti
                proprio        dalla       ben       oliata      macchina           hollywoodiana.

                Comportamenti da diva di gran classe, con il gusto dello chic, la
                passione per i cappelli - che quando viaggiava portava con sé in
                un gran baule e appendeva nelle suite degli alberghi -, il talento

                per  le  tavole  sofisticate,  la  passione  per  il  caviale  e  lo
                champagne,  il  gusto  per  il  collezionismo  raffinato.  Colpiva

                quella  civettuola  femminilità  che  emergeva  dietro  la  facciata
                della giornalista con l'elmetto. In tutto, anche nel coltivare arti
                come la cucina, il cucito, il ricamo, metteva lo stesso estenuato

                impegno  che  metteva  nel  lavoro.  Quasi  un  ciclone,  che  non
                contemplava le domeniche, le feste, le vacanze: «Quando lavoro

                dimagrisco,  divento  isterica»  si  lamentava  «perché  sono  una
                scrittrice molto lenta, e riscrivo ossessivamente».

                  Fu forse quel suo bisogno primario e ostinato di serietà - virtù
                al fondo ormai inconsueta - che contribuì a creare leggende sul

                suo carattere. Era capace di stare ore a limare non soltanto un
                passaggio di un libro o di un pezzo, ma anche una didascalia
                (sapeva che spesso è letta più dell'articolo, fatto di cui ogni buon

                giornalista dovrebbe esser consapevole). Lavorava furiosamente
                sulle bozze, correggendo a mano, scrivendo e riscrivendo. E alla

                fine,  non  contenta,  rileggeva  ad  alta  voce,  per  sentire  se  le
                parole  erano  abbastanza  armoniose,  poi,  non  ancora  paga,

                ricominciava a leggere, virgole comprese. Se all'ultima lettura
                non suonavano bene, ripartiva daccapo. Spiegò questa esigenza

                per la parola cantata oltre che scritta in un'intervista a Francesco
                Cevasco  apparsa  sul  «Corriere  della  Sera»  nel  1993,  quando
                Rizzoli varò gli audiolibri e l'Oriana si impegnò - come al solito

                fra  i  tormenti  -  a  leggerli  personalmente,  cominciando  dalla
                Lettera a un bambino mai nato.

                  «La parola scritta non è muta! È voce. Anche quando scrivo, io
                non sto zitta. Bisbiglio a me stessa le frasi, me le detto, me le

                recito, ne faccio una colonna sonora il cui tono corrisponde a



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