Page 5 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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Prefazione di Maria Luisa Agnese



                    Oriana  Fallaci,  si  sa,  non  ha  mai  avuto  l'ossessione  per  il
                giornalismo.  Aveva  piuttosto,  chiara  e  prepotente,  sin  da

                piccola,  la  vocazione  per  la  scrittura,  era  innamorata  delle
                parole  che  quasi  naturalmente  «emergevano  come  gocce,  una
                alla  volta,  e  rimanevano  sul  foglio».  E  se  a  un  certo  punto

                cominciò prestissimo - a diciassette anni - a fare la giornalista lo
                considerava  un  compromesso,  una  specie  di  trampolino  per

                arrivare  dove  veramente  voleva:  la  letteratura.  E  così,  dopo
                qualche  anno  di  apprendistato  approdò  a  «L'Europeo»,  luogo

                agognato dai giovani giornalisti di allora dove il mitico direttore
                Arrigo Benedetti le chiese di raccontare lo stato nascente della

                Dolce vita: doveva seguire i divi nostrani e internazionali che
                arrivavano a Roma e narrarne gesta e retroscena.
                    Si  sarebbe  entusiasmato  chiunque,  a  tuffarsi  nel  mondo

                patinato e irregolare che si affollava fra via Veneto e piazza del
                Popolo,  in  quel  microcosmo  dove  «come  in  ogni  paese,  tutti

                sapevano tutto di tutti, c'erano i personaggi e le macchiette, le
                battute e i pettegolezzi, i soprannomi e i litigi» (così Raffaele La

                Capria). Ma non l'Oriana, che trovava queste cose frivole e le
                seguiva  come  ammise  lei  stessa  «a  sopracciglio  alzato»,

                memore  del  suo  passato  di  staffetta  partigiana,  carico  di
                severità, di ideali, di contestazione. Da professionista e da brava
                secchiona si impegnò lo stesso molto, si stabilì a Roma in una

                cameretta  d'affìtto  e  cominciò  a  frequentare  quel  villaggio
                dorato  che  non  amava,  e  a  descriverlo  rivoltandolo  come  un

                calzino;  partì  poi  alla  scoperta  dello  star  system  americano,
                nell'inverno del 1955 fece la spola fra New York e Los Angeles,

                e  anche  là  applicò  le  sue  tecniche  di  spionaggio  dolcemente
                infiltranti,  iniziò  amicizie  che  sarebbero  durate  una  vita,  e

                scrisse mirabili reportage per «L'Europeo».
                  Poi, finalmente, il grande salto, un libro tutto suo, ricavato da
                quella lunga total immersion investigativa nello star system: nel

                1958  pubblica  per  Longanesi  I  sette  peccati  di  Hollywood,



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