Page 99 - Oriana Fallaci - 1968
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americani incontrandomi dopo quaranta giorni di Vietnam? Mi
                chiedono:  «How  was  your  trip?  Did  you  have  fun?».  (Com’è

                andato il suo viaggetto, s’è divertita?) Me l’ha chiesto il portiere
                di  notte  e  il  portiere  di  giorno,  me  l’ha  chiesto  il  vinaio,

                l’ortolano, il postino, me l’ha chiesto la parrucchiera, il cassiere
                della Banca Chase Manhattan, la segretaria di «Look magazine»
                e  la  negra  che  mi  pulisce  la  casa.  All’inizio  credevo  a  un

                umorismo di cattivo gusto, rispondevo male: «Il mio viaggetto è
                stato nella vostra guerra e il mio “divertimento” è stato contarne

                i  morti».  Ma  poi  mi  sono  accorta  che  ci  restavano  male  e  ho
                capito che non v’era malizia in tale domanda. V’era solo una

                immensa, tragica mancanza di senso della realtà. V’era solo una
                immensa, scandalosa mancanza di interesse per ciò che accade

                laggiù. Sicché prima di affrontare il discorso su questi giorni di
                rivolta  in  Vietnam,  lasciami  chiarire  una  cosa:  all’americano
                della porta accanto non importa un bel nulla del Vietnam. Esso

                importa soltanto alle famiglie dei cinquecentomila soldati che ci
                crepano  da  circa  quattr’anni,  ai  diciottenni  che  aspettano  la

                cartolina  di  richiamo,  agli  intellettuali  di  opposizione  che
                organizzano marce di protesta e magari vanno in galera. Lo sai,

                vero, che il dottor Benjamin Spock, il pediatra, è stato messo in
                prigione perché incitava gli americani a non pagare l’aumento

                delle tasse imposte da Johnson per il Vietnam. Be’, qualcuno lo
                imita.  O  almeno  ci  pensa.  Ieri  un  mio  amico,  uomo  colto,
                perbene,  ammalato  di  cuore,  appariva  depresso.  Gli  ho

                domandato  cosa  lo  turbasse  e  m’ha  detto:  «Devo  decidere  se
                andare o non andare in galera». Però sono pochi. Tutti insieme,

                vediamo:  venti  milioni?  Venti  milioni  (ma  è  troppo)  su
                duecento  milioni  di  americani.  Davvero  ti  aspettavi  che
                tornando a New York vi trovassi una atmosfera di dramma? Io

                lo  sapevo  bene  che  sarei  stata  accolta  dalle  stesse  facce
                contente, dalle stesse banche affollate, dalle stesse code dinanzi

                ai teatri, dalla stessa indifferenza di sempre.
                    Ti  dirò:  più  che  l’ira  per  esser  tornata  quaggiù  proprio  la

                settimana  in  cui  bruciava  Saigon  (non  sempre  noi  giornalisti
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