Page 100 - Oriana Fallaci - 1968
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siamo  fortunati),  più  che  l’angoscia  per  non  poter  rientrare  a
                Saigon finché l’aeroporto non viene riaperto, ciò che io provo a

                New  York  è  una  specie  di  colpa.  Mi  sembra  ingiusto,  ecco,
                starmene qui fra gli agi mentre laggiù si muore. Ma se io provo

                questo, io che sono italiana e con la loro guerra non c’entro per
                niente, come fanno a non provarlo loro? Sai, a volte mi capita di
                guardarli mentre il telegiornale trasmette, col sottofondo di una

                marcia funebre, i nomi dei caduti in Vietnam: qui a New York li
                trasmettono  tutte  le  sere,  nome,  cognome  e  indirizzo.  Be’,

                quando incomincia quella marcia funebre e le parole prendono a
                scivolare  sul  video,  io  mi  sento  morire,  mi  viene  voglia  di

                piangere.  Loro  no,  invece.  Una  volta,  in  un  bar,  non  si  sono
                girati nemmeno. Uscendo dal bar ho preso un taxi. L’autista ha

                esclamato: «Cara la mia ragazza, ma lei è ingenua, sa? Guardi,
                io ho fatto la guerra in Corea e posso dirle che al tempo della
                Corea  succedeva  lo  stesso.  Laggiù  si  moriva  e  qui  tutto

                continuava come se niente fosse. Non gliene importava un bel
                nulla a nessuno». Non so, forse gli abitanti della antica Roma

                reagivan  così  durante  la  Guerra  dei  Parti.  Era  così  lontana  da
                Roma, e un piccolo popolo come quello dei Parti poteva forse

                turbare un impero come quello di Roma?
                    Dopotutto i giornali ci hanno messo un bel po’ a capire che

                l’attacco  a  Saigon  non  era  l’episodio  isolato  di  un  pugno  di
                vietcong  suicidi  ma  l’inizio  di  una  rivolta  nazionale
                scrupolosamente  organizzata.  Solo  dopo  tre  giorni  hanno

                ammesso che il Fronte nazionale di liberazione aveva attaccato
                e  in  molti  casi  conquistato  ben  33  città,  32  zone  urbane  nei

                distretti  di  altrettante  province,  24  basi  aeree  americane,  5
                stazioni radio, quasi tutti i centri telegrafici, numerosi quartier
                generali  dell’esercito  e  della  polizia,  non  so  quante  prigioni:

                così  liberando  oltre  tremila  prigionieri  politici,  distruggendo
                oltre  duecento  aerei,  bloccando  tutte  le  arterie  di

                comunicazione.  Solo  al  quinto  giorno  abbiamo  saputo  che  il
                terzo  battaglione  del  33°  reggimento  sudvietnamita  e  la  21ª

                divisione  sudvietnamita  di  stanza  a  Soc  Trang  erano  passati
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