Page 95 - Oriana Fallaci - 1968
P. 95

ne hanno un bisogno disperato e li pagano bene. Guarda, potrei
                continuare all’infinito. Lo sai perché Saigon è sporca? Perché

                gli spazzini municipali guadagnano poco e nessuno vuol far lo
                spazzino.  No,  non  ci  risolleveremo  mai  più  da  questo  caos.

                Riusciremo  soltanto  ad  espanderlo,  come  una  macchia  d’olio,
                per tutta l’Asia.



                L’ATTENTATO  ALLA  AMBASCIATA. È incominciato alle tre del
                mattino,  in  pieno  coprifuoco,  quando  ci  hanno  svegliato  quei

                colpi:  l’ambasciata  americana  è  nel  viale  Thong  Nhut,
                vicinissima  alla  zona  degli  alberghi.  All’improvviso  si  sono
                uditi quei tre colpi, ma forti, quasi le esplosioni di tre bombe, e

                le finestre si sono accese, qualcuno si è messo a gridare: «Gli
                aerei, gli aerei». Siamo corsi fuori e da una camionetta dell’MP

                è  uscito  un  urlo:  «The  embassy,  the  embassy».  Dinanzi
                all’ambasciata la battaglia infuriava come in zona di guerra. I

                vietcong avevano sparato nel muro di protezione con tre razzi
                anticarro  B40  e  poi,  con  un  bazooka  da  35  pollici,  avevano

                allargato  il  buco:  per  passarci  attraverso.  Altri  erano  passati
                direttamente dal cancello, uccidendo i tre militi dell’MP che ne
                stavano  a  guardia.  I  loro  cadaveri  giacevano  sul  marciapiede,

                affogati  di  sangue:  li  vedevi  bene  anche  da  lontano.  Accanto
                c’erano  cinque  cadaveri  di  vietcong.  Scalzi,  in  pantaloni  e

                camicia. Non si entrava più dentro l’ambasciata, i vietcong ne
                occupavano  ormai  tutto  il  pianterreno  e  il  giardino.  «C’è  il
                colonnello  Jacobson  dentro»  gridava  un  piccolo  marine.

                «Gettate  i  gas  lacrimogeni,  dove  sono  i  gas  lacrimogeni?»
                Accanto  a  lui  un  capitano  ordinava:  «Ai  cecchini,  sparate  ai

                cecchini»,  e  batteva  il  pugno  sul  ricamo  della  sua  giacchetta:
                «In  God  We  Trust»,  in  Dio  abbiamo  fede.  Ma  i  suoi  uomini

                erano  sopraffatti  dalla  pioggia  delle  granate,  dei  razzi,  dei
                mortai,  delle  mitragliatrici,  e  gli  elicotteri  che  cercavano  di

                atterrare sul tetto della ambasciata erano costretti a rialzarsi per
                sfuggire  ai  colpi.  Una  vera  e  propria  battaglia,  come  sulla
                collina. Nel centro di Saigon. Nel cuore stesso degli Stati Uniti
   90   91   92   93   94   95   96   97   98   99   100