Page 83 - Oriana Fallaci - 1968
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fastidio. Purtroppo c’è bisogno di loro, è da utopisti pensare di
                farcela  senza  di  loro.  Ma  l’incontro  fra  le  due  civiltà  è  così

                difficile, e il risultato è un malinteso perpetuo. Questo opporsi
                alle esecuzioni, ad esempio. «Generale, a proposito: che ne sarà

                di quei tre condannati?»
                    Il generale sospira. Con pazienza. Con garbo. «Oh! Verranno
                fucilati,  non  dubiti.  Quando  accadono  certe  cose,  si  sospende

                l’esecuzione e si fucilano dopo. La legge va applicata, sì o no?
                Che  agli  americani  piaccia  o  non  piaccia.  Noi  siamo  corretti.

                Ricorda la Resistenza in Europa? Non c’era bisogno di sentenze
                a  quel  tempo.»  Sorride.  «O  di  sentenze  rumorose,  ufficiali.»

                Sorride.  «Generale,  sta  forse  dicendo  che  in  Vietnam  accade
                quel  che  accadeva  durante  la  Resistenza  in  Europa?  Lei,

                generale?» Sorride. «Oh, perché no? Pourquoi pas? È lo stesso
                genere di Resistenza che avevate in Europa, sì o no? In Italia, in
                Francia, in Spagna. La sola differenza è che qui si basa su un

                partito  politico,  non  su  uno  spirito  nazionalistico.  I  vietcong
                l’hanno  impostata  male,  fin  dall’inizio.  Perciò  perderanno  e

                perciò non li rispetto. A parte il fatto che li conosco troppo bene
                per rispettarli: a quattordici anni anch’io ero nella Resistenza,

                mi permetta di non dirle con chi. Oh, i vietcong sono lupi. Lupi
                molto  umani  ma  lupi.  E  forse  sono  nostri  fratelli:  ma  fratelli

                nemici.  E  non  c’è  nemico  peggiore  di  un  fratello  nemico.»
                «Generale,  è  sicuro  che  perderanno?»  Sorride.  «Ho  usato  il
                verbo perdere? Voglia scusarmi: è una parola che non uso mai.

                Questa guerra è una ben strana guerra: non può finire né con la
                vittoria  degli  uni  né  con  la  sconfitta  degli  altri.  Può  finire

                soltanto  con  una  cessazione  del  fuoco.  Oh,  ecco  ciò  che  gli
                americani non sanno capire: vincere una battaglia o anche tutte
                le battaglie non significa affatto vincere questa guerra.»

                    Il generale si alza, mi accompagna alla porta. Mi dice quanto
                gli  piacerebbe  venire  in  Italia,  rivedere  quei  bei  monumenti,

                rientrare  in  quei  bei  teatri,  tornare  a  pescare  in  quei  fiumi
                tranquilli.  Lui  ama  molto  pescare  ma  la  pesca  che  sta  ora

                facendo lo annoia oltre ogni dire. Muove il pollice e l’indice,
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