Page 54 - Oriana Fallaci - 1968
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Sotto Van Thieu, otto immolati: un bonzo e sette bonzesse.
                Le ultime quattro però si sono bruciate senza l’autorizzazione

                della  Venerabile  Madre.  Quattro  in  due  mesi.  La  prima  il  3
                ottobre a Can Tho, la seconda l’8 ottobre a Sa Dek, la terza il 4

                novembre a Già Dinh, la quarta il 22 novembre a Nha Trang. La
                Venerabile Madre lo seppe quando la chiamarono a prendere i
                corpi per seppellirli, anche questo è un compito che spetta a lei.

                Ma riuscì solo a ritirare due corpi, gli altri due li aveva ritirati il
                governo  cui  non  piace  che  il  rito  funebre  provochi  folla  e  la

                tomba diventi luogo di pellegrinaggio. È una delle cause per cui
                le immolazioni passano ormai inosservate. Del resto i giornali si

                guardano bene dal pubblicizzarle, la gente che viene a saperlo
                reagisce con indifferenza o con noia: «Un’altra? A quanto pare

                le  donne  bruciano  meglio»  «Giovane?  Se  la  smettessero,
                dunque.  A  chi  importa?».  Perché  questa  è  la  realtà  amara  dei
                roghi  umani  nel  Vietnam:  non  interessano  più  a  nessuno.

                Quando  Huynh  Thi  Mai  si  uccise,  chiunque  poté  vederla:  la
                terrazza si affaccia su una strada piena di case: ma alle finestre

                ci saranno state sì e no trenta persone, sul marciapiede solo una
                marmaglia di ragazzini eccitati. Ed è opinione diffusa, a volte

                provata, che non pochi vadano al sacrificio drogati. Dice il capo
                della  polizia:  «Li  ho  visti  e  non  si  spiega  altrimenti  la  loro

                immobilità.  Se  non  sei  intontito  di  droga  e  ti  accendono  un
                fuoco  addosso,  ti  muovi,  ti  agiti,  salti.  I  riflessi  reagiscono
                contro  la  tua  volontà».  E  il  collega  Pelou,  che  nel  luglio  del

                1966  tentò  di  salvare  un  bonzo  tra  le  fiamme,  conferma  una
                simile tesi. Val la pena ascoltarlo.

                    «Sto andando a una conferenza stampa di Thich Tarn Chau
                quando scorgo una fiammata vicino al marciapiede. In Rue Con
                Li, la strada dell’aeroporto. Ci risiamo, mi dico, ne brucia un

                altro. Scendo dall’automobile e mi avvicino al rogo. Dentro c’è
                un  bonzo.  Intorno  a  lui,  un  gruppetto  di  giovinastri  che  si

                divertono, alcune donne che gemono, qualche bonzo e qualche
                bonzessa. I passanti continuano a camminare voltandosi appena

                o  non  voltandosi  affatto.  Le  automobili  e  i  risciò  a  pedale  si
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