Page 390 - Oriana Fallaci - 1968
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portare a un indirizzo che secondo Gabriele era un indirizzo
sicuro e qui siamo rimasti tre ore: gli ho fatto un’intervista, è
l’unica intervista che esista con un capo studentesco dopo la
sparatoria di Tlatelolco. La trascriverò a parte. Dopo averla
fatta, io e Gabriele abbiamo preso un altro taxi. In taxi Gabriele
non era più così triste e non faceva che preoccuparsi della mia
ferita alla schiena. A un semaforo rosso, d’un tratto, senza
avvertirmi, è sceso ed è sgusciato via nel buio. Lo rivedrò
domani sera. L’appuntamento è in una «cafeteria» sempre piena
di folla.
VENERDÌ 11 OTTOBRE. Mirta è rimasta uccisa durante la
sparatoria. Mia sorella Neera s’è recata a casa di Mirta e la
madre le ha dato la notizia singhiozzando. Poi, sempre
singhiozzando, le ha detto: «Signorina, per favore, non mi
chieda di più, per favore. Ho altri cinque figli. Il lutto ha invaso
la nostra casa: non mi interessa niente altro». E non ha voluto
dire altro. Povera Mirta, non aveva fatto nient’altro che leggere
il suo discorso scritto sulla carta a quadretti, e ora è morta, e
nessuno parla di lei, nessuno le porta un fiore. Sono così
frastornata che non riesco neppure a piangere sulla morte della
mia piccola amica, guardo al di là della finestra, intontita, c’è un
gran rumore giù nella strada, tutte quelle automobili, tutti quei
palloncini, tutti quei turisti che passeggian su e giù, tutte quelle
luci accese. «È vero che New York è bella, soprattutto di sera,
quando brucia di luci?» «Sì, Mirta, è vero, vedrai. Vedrai.»
VENERDÌ NOTTE. Appena ho raggiunto la hall, un tipo che
leggeva il giornale s’è alzato e m’è venuto dietro: con aria
falsamente distratta. Convinta che mi seguisse, ho chiesto a un
collega di farmi un favore: di uscire con me. Il collega è uscito
con me, e il tipo ci è venuto dietro. Non era il caso di prendere
un taxi, gli avremmo reso tutto più facile. Così ci siamo
incamminati lungo il Paseo de la Reforma e non è stato
possibile voltar nella strada che conduceva alla cafeteria.