Page 387 - Oriana Fallaci - 1968
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avere un figlio così. Che l’abbiano torturato? Chiunque risponde
no, ha parlato spontaneamente. E ora pensarci mi fa male, più
male delle ferite e le schegge. Dal mio letto posso vedere le
strade piene di auto, udire il suono festoso dei clacson, siamo
nel pieno clima della diciannovesima Olimpiade.
Vorrei tanto sapere cosa è successo dei ragazzi che ho
conosciuto e intervistato prima. Mirta, a esempio. Diciotto anni,
esile, bionda, studentessa del Politecnico. Fu lei a presentarmi ai
capi e ovunque andassi me la trovavo dietro: come un cagnolino
fedele. Durante la conferenza stampa di lunedì venne a sedersi
vicino a me e mi stringeva il braccio, affettuosamente, perché
l’avevo invitata a New York. Diceva: «È vero che New York è
bella soprattutto la sera, quando brucia di luci?». E io le
rispondevo: «È vero, Mirta, vedrai. Vedrai». La sera di
mercoledì ci rivedemmo: su quella terrazza di quel terzo piano.
L’elicottero volava, volava, ma ancora non era successo nulla.
Mirta mi venne incontro tutta contenta: s’era messa i pantaloni
perché io porto spesso i pantaloni. «Hai visto? Mi sono vestita
come te.» «Brava Mirta, brava.» «Sai? Oggi farò il mio primo
discorso.» «Vuoi dire da qui, al balcone?» «Sì, dal balcone.» Se
l’era scritto su un foglio di carta a quadretti, era emozionata.
Quando cominciò a leggere il foglio mi misi alle sue spalle. Lo
leggeva male, con una vocetta che sembrava il pigolio di un
pulcino, su ogni frase inciampava. E allora i suoi occhi
cercavano i miei, mortificati. Quando l’elicottero lanciò i due
bengala, mi allontanai un poco da lei: per affacciarmi meglio al
balcone e guardare. Quando tornai verso dì lei, lei non c’era più.
Sarà riuscita a scappare? L’avranno messa in prigione?
E poi Isaia. Così nero, brutto, piccino. Era iscritto alla scuola
di ingegneria elettronica del Politecnico, era figlio di un
ferroviere. Veniva sempre in albergo a portarmi le notizie, ed
entrando si nascondeva, vergognoso, il colletto della camicia
perché era sfilacciato. Però lo nascondeva tenendo le unghie
piegate, in quanto le sue unghie erano sempre nere. Avevo
sempre voglia di dirgli: «Senti un po’, Isaia, ma perché non ti