Page 338 - Oriana Fallaci - 1968
P. 338
reagii da bambino quando mi resi conto che ero stato strappato
alla mamma, ai miei fratellini e alle mie sorelline, e posato su
quel trono di cuscini per comportarmi come un vecchio. Ma la
memoria non mi ha aiutato a trovare un momento di rabbia.
Forse perché i miei ricordi precisi incominciano con
l’adolescenza. Però, quando fui adolescente, il possibile rancore
infantile non esisteva più in quanto ero ormai un monaco da
molto tempo. E non sapevo immaginare di poter essere
qualcos’altro fuorché un monaco. Ero insomma contento
d’essere un monaco. Ne sono contento ancora, sebbene la mia
mente non sia purificata del tutto. Perché ho accantonato i miei
dubbi, e i miei desideri, e la vita monastica non mi appare come
un sacrificio. Essa mi impone limitazioni, è vero, ma in
compenso mi dà una pace dello spirito che gli altri non hanno e
che inutilmente cercano. E mi toglie molte paure, ad esempio la
paura della morte. Gli uomini sono così spaventati all’idea di
morire, io no, perché so che la morte è solo il trasferimento da
un corpo a un altro corpo. Nel mio precedente corpo…
Santità, lei crede davvero d’essere la reincarnazione del Dalai
Lama che la precedette?
Alla reincarnazione, sa, o ci si crede o non ci si crede. Essa non
è dimostrabile, essa è un atto di fede. Io ho quella fede. Può
sembrare un anacronismo, lo so, perché sono un uomo moderno
e si suppone che un uomo moderno non creda alla
reincarnazione. Io ci credo invece come a qualcosa di
indiscutibile, come alla vita e alla morte: insomma non come a
un mistero. Fatta questa premessa aggiungo qualcosa che la
stupirà: non sono affatto convinto d’essere la reincarnazione del
tredicesimo Dalai Lama. O non necessariamente. Forse sono la
reincarnazione di un qualsiasi lama, o di un contadino. Che
importanza ha? Non va bene lo stesso? Crediamo alla
democrazia, sì o no?