Page 341 - Oriana Fallaci - 1968
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Paisà
Un’intervista con le nostre radici: «Io, dovessi dare un’anima e
un volto all’italiano d’America, cioè all’emigrato o al figlio
dell’emigrato, sceglierei l’anima e il volto di Dino Crocetti,
alias Dean Martin».
Los Angeles, settembre-ottobre
È una sera d’autunno a Beverly Hills, California, il figlio del
barbiere abruzzese siede a gambe larghe, sprofondato dentro
una poltrona della sua splendida villa, cercando di spiegarmi chi
è Dino Crocetti, alias Dean Martin, cioè lui. La villa contiene
una piscina e un campo da tennis, nel garage vi sono quattro
automobili, nel soggiorno v’è un bar abbastanza grande per un
albergo, e ogni cosa che vedi che tocchi ha l’aria di costare
migliaia di dollari: le alte pareti di vetro infrangibile attraverso
le quali puoi ammirare il parco, l’impianto stereofonico e la
televisione a colori, i tappeti dove i tacchi affondano come
dentro la rena, la governante che comanda accigliata una
pattuglia di sei servitori, la bella moglie chic. Dalla sua poltrona
(in pelle bianca) il figlio del barbiere abruzzese accarezza tutto
con occhi orgogliosi: a quel lusso tiene più dei dischi che vende
a milioni, dei film per cui il pubblico fa sempre la coda, della
sua popolarità leggendaria. Noi in Europa pensiamo ancora a lui
come al partner di Jerry Lewis. Ma, dal giorno in cui si divisero,
Jerry Lewis è solo un comico che ripete se stesso e sopravvive
con gli show di Las Vegas; Dean Martin invece è una specie di
istituzione: come il chewing-gum e il pop-corn. Fra tutti gli