Page 337 - Oriana Fallaci - 1968
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feci, e quello fu il primo treno della mia vita: sarebbero passati
molti anni prima che vedessi un treno vero. E poi un altro
giorno mi giunse un orologio da polso. Sarebbe stato l’unico
orologio da polso di Lhasa. Disfeci anche quello per vedere
come funzionava. Poi lo rimisi insieme e, credere o no,
funzionava ancora. E poi scoprii in un magazzino di Lhasa
quelle tre automobili vere. Erano state inviate in dono al mio
predecessore che credo non le usasse mai. Erano due Baby
Austin del 1927, una celeste e una rossa e gialla, poi una Dodge
del 1931, color arancione. Giacevano lì arrugginite. Trovai un
giovane tibetano che aveva fatto l’autista in India e col suo aiuto
rimisi insieme la Dodge. Poi, mischiando i pezzi delle due
Austin, riuscii a mettere insieme anche una Austin. Per me fu
più eccitante di una discussione di dialettica. Il giovanotto mi
insegnò anche a usarle: fu una grande felicità quando riuscii a
muovere per la prima volta un’automobile. Ma la favola più
bella per me è sempre stata l’elettricità. Avevamo un generatore
elettrico a Norbulingka. Si rompeva sempre e credevano che si
rompesse per disgrazia. Invece ero io, che lo rompevo per
accomodarlo. Sarei stato un grande meccanico e anche un
grande elettricista se il destino fosse stato diverso con me.
«Potrei essere l’ultimo Dalai Lama»
Ciò le provoca molto rimpianto, Santità? In altre parole, sente
un disagio e un rancore per essere un re in esilio, un papa
spodestato, infine un monaco?
No, perché escluso il mestiere di meccanico non so immaginare
un altro genere di esistenza per me. La mia vita è stata e ancora
è così condizionata da un sentiero tracciato prima di me che
anche volendo non potrei e non avrei potuto sfuggirvi. Infatti è
vero che non scelsi io questo destino, che esso mi fu imposto
quando avevo due anni. Ma non sento rancore per tale
imposizione. Vede, io ho cercato spesso di ricordare come