Page 221 - Oriana Fallaci - 1968
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portò  dalla  parte  di  John,  Bruce,  Frank.  Bruce  era  coperto  di
                sangue  ma  era  il  meno  ferito  dei  quattro.  Mosse  entrambe  le

                mani  a  supplicare  no,  no,  non  sparare,  bao  chi,  e  di  nuovo  il
                grosso  sergente  ghignò:  «Bao  chi,  puaf!».  Poi  gli  sparò  alla

                testa.  Frank  non  si  mosse.  Con  assurda  speranza  calcolò  che
                l’unica cosa da fare fosse fingere d’esser morto, tacere, tenersi
                pronto  a  saltare  in  piedi  e  fuggire  se  un  miracolo  fosse

                avvenuto. Il miracolo avvenne dopo che anche John fu finito:
                con  un  colpo  al  collo  mentre  rantolava.  Dopo  quel  colpo  il

                sergente  si  accorse  che  la  rivoltella  era  scarica.  Si  voltò  per
                andare  a  prendere  un  altro  caricatore,  e  s’era  allontanato  di

                nemmeno  due  passi  che  Frank  schizzò  in  piedi,  e  cominciò  a
                correre,  a  correre,  a  correre  a  zigzag  per  la  stradina,  mentre  i

                vietcong lo inseguivano, urlando, sparando, mentre le pallottole
                gli  fischiavano  intorno  e  sopra  la  testa,  fino  a  un  certo  punto
                dove  c’era  la  folla  e  lui  si  ficcò  nella  folla,  si  sottrasse  al

                sergente che ordinava alla folla «spingetelo qua, datelo a me»,
                ma  la  folla  non  gli  rispondeva  neanche,  e  lo  copriva,  lo

                proteggeva come un invalicabile muro…


                Sono  andata  a  vedere  la  stradina  di  Cholon  dove  sono  morti

                Bruce, Ron, Michael e John. Nella zona ci sono ancora franchi
                tiratori,  ma  nessuno  ha  sparato  ed  è  stato  possibile  ricostruire

                con calma ciò che ormai tutti chiamano uno spietato assassinio.
                Dal punto in cui la jeep frenò allo sbarramento dei bidoni vuoti
                ci  son  poco  più  di  tre  metri,  e  a  tale  distanza  non  si  può

                scambiare cinque uomini inermi e vestiti in borghese per cinque
                nemici.

                    La tragedia si è compiuta qui, dove io mi trovo. Di dietro lo
                sbarramento  di  bidoni  vuoti  si  alza  un  fetore  orrendo.  Mi

                avvicino trattenendo il respiro e una nuvola nera di mosche si
                leva ronzando da sei cadaveri lasciati lì a decomporre. Sono i

                cadaveri  di  sei  vietcong,  lasciati  lì  come  monito:  la  polizia
                pretende  così.  Cinque  giacciono  sullo  stomaco  e  la  faccia
                affondata  per  terra,  a  uno  però  gli  manca  la  faccia:  colpita  in
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