Page 217 - Oriana Fallaci - 1968
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giovanotto  che  l’anno  scorso  volò  a  Cuba  per  imparare  l’arte
                della guerriglia, ci rimase un bel po’, ne ripartì deluso, e fu di

                nuovo accettato negli Stati Uniti come un figliol prodigo. Era
                Carmichael che girava per le strade di Washington stralunando i

                fanatici  occhi  e  gridando:  «L’America  bianca  ha  dichiarato
                guerra  all’America  nera;  insorgete!».  E  poi:  «Però  non
                sprecatevi troppo, aspettate le armi». Venerdì sera la polizia lo

                aveva arrestato perché incitava durante il coprifuoco, però dopo
                pochi minuti lo aveva lasciato andare. «E perché?» «La paura.»

                A Washington la popolazione nera è del sessanta per cento. E
                non importa se è la popolazione nera più privilegiata d’America,

                se gli slums a Washington sono deliziose villette coloniali dove
                qualsiasi  snob  sarebbe  lieto  di  abitare,  se  a  Washington  il

                sindaco è negro, se gran parte dei poliziotti son negri, se i salari
                non  sono  bassi,  se  le  umiliazioni  non  sono  gravi:  anche  il
                governo è a Washington, e il presidente degli Stati Uniti, e il

                Senato.  E  qualsiasi  Stokely  Carmichael  può  permettersi  a
                Washington  ciò  che  non  oserebbe  mai  fare  a  Memphis,  ad

                Atlanta, a New Orleans. Di qui la paura: politica e umana. Non
                ho mai visto tanta gentilezza nei bianchi verso i negri come in

                questi  giorni.  Gli  sorridono,  gli  fanno  un  mucchio  di
                osservazioni imbecilli sul tempo. Li trattano come un fidanzato

                tratta la fidanzata dopo averle fatto, per sbadataggine, le corna.
                E lei gli oppone, anziché il perdono, il disprezzo.
                    In tale tragedia che annuncia una ben più grossa tragedia a

                venire,  nessuno  si  pone  l’interrogativo  più  importante  e  più
                ovvio: l’assassino di Martin Luther King agì solo o fu aiutato da

                qualcuno? Il suo fu un delitto di un pazzo solitario o la congiura
                bene organizzata di un gruppo? E se questo qualcuno, se questa
                congiura esiste, da che parte è da ricercarsi? Se c’era un uomo

                pericoloso pei razzisti bianchi, questo era certo Martin Luther
                King. Non solo per il prestigio che godeva nel mondo per il suo

                premio  Nobel,  ma  perché  nessuno  quanto  lui  riusciva  a
                trascinare la folla del ghetto.

                    Tuttavia  egli  era  scomodo  anche  per  i  razzisti  negri.  Non
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